2014-06-24 14:02:00

"Raccontami 2014": a Roma oltre tremila senza tetto


Vivere in strada, senza il riparo di un tetto e il calore di una famiglia: sono oltre 3.000 i senza fissa dimora a Roma. Non si tratta solo di stranieri in cerca di una prima occupazione, ma anche di moltissimi italiani, talvolta anche laureati. La Fondazione Rodolfo Debenedetti, assieme all’Università Bocconi, al Comune di Roma, alla Cisom e a "Binario 95" ha reso noti i risultati di “Raccontami 2014”, il censimento dei senza fissa dimora nella Capitale. Gianmichele Laino ha intervistato Alessandro Radicchi, direttore dell’Osservatorio nazionale disagio e solidarietà:

R. – Sui numeri, bisogna fare una considerazione, perché se rapportassimo il censimento fatto dall’Istat un paio di anno fa con la Fiospd (la Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora), che ne contava a Roma 10 mila, se effettivamente oggi fossero diventati tremila avremmo fatto grandi passi avanti perché avremmo sistemato settemila persone. Invece, la cosa importante da dire riguardo a questo censimento è che esso è complementare ad altri che sono stati fatti. In particolare, il censimento afferma di aver contato le persone che stavano effettivamente in strada, diversamente da quello che aveva fatto l’Istat, che aveva contato principalmente quelle che usufruivano dei servizi. Da questo, si evidenzia uno zoccolo duro di circa duemila persone che comunque stanno in strada: sono roofless, quindi dormono in strada, senza un tetto. La cosa importante che c’è da aggiungere, anche, al censimento “Raccontami 2014” – importantissimo perché una pietra miliare sul conteggio in strada su Roma  – è, per esempio, che per quanto riguarda i centri di accoglienza non è stato considerato il Centro di accoglienza per le persone immigrate o titolari o richiedenti protezione umanitaria.

D. – Quali sono le azioni concrete che si possono mettere in pratica per offrire un aiuto a chi non ha un tetto?

R. – Come diceva giustamente ieri Daniele Lucaroni, redattore di “Shaker”, persona senza dimora che ha vissuto un recupero proprio dalla strada, dalla stazione: “Bene, ringraziamo tutti, tutto è importantissimo, ma ricordatevi che noi la casa ancora non ce l’abbiamo”. Significa che se noi poi non prendiamo queste rilevazioni come punto di partenza per andare effettivamente a incidere su una necessità abitativa, su nuove prospettive di housing sociale, con case-appartamento, andando finalmente a occupare quegli immobili, che sono tantissimi, che sono non utilizzati ... Ora, Roma ha tanti spazi che non usa, però noi non ci attiviamo, per questo. Le istituzioni devono partire da politiche di questo tipo.

D. – Qual è il ritratto di una persona senza dimora?

R. – La persona senza dimora è un giovane immigrato che sbarca sul territorio italiano e che quindi cerca protezione o lavoro, oppure un italiano più anziano che ha avuto varie microfratture nella sua vita e che quindi cerca di reinserirsi nel contesto sociale. Parliamo di un immigrato tra i 18 e i 25 anni, parliamo di un italiano tra i 40 e i 75 anni.

D. – Vivere per strada molte volte rappresenta l’ultima spiaggia. I senza dimora hanno speranza di cambiare la loro condizione, o a un certo punto subentra una rassegnazione senza via d’uscita?

R. – E’ uno stato che purtroppo peggiora anche continuamente, se non è opportunamente “curato”. C’è anche una nuova definizione, data dall’Organizzazione mondiale della sanità, che definisce la povertà come una malattia, le dà un codice: Z59.5, perché la persona che cade in disgrazia incomincia a costruire attorno a sé delle barriere, incomincia a smettere di "abitare" se stesso. C’è una possibilità di uscita? Sì, c’è la possibilità, c’è la possibilità di salvare le persone intervenendo con meccanismi strutturati, creativi, intelligenti e propositivi, che vadano oltre la concezione del panino o della coperta, ma che non bastano per fare uscire le persone dallo stato di povertà.








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