2014-06-24 08:04:00

Iraq: massacro di decine di soldati. Kerry: aiuti a Baghdad


“Forniremo all’Iraq un sostegno intenso e continuo per fronteggiare l’avanzata dei miliziani sunniti”. E’ quanto detto ieri dal segretario di Stato americano, John Kerry, in visita a Baghdad. Obiettivo: fronteggiare l’avanzata verso la capitale dell’Isil, il Partito islamico dell’Iraq e del Levante. E proprio ieri il premier al Maliki ha dato notizia del ritrovamento dei corpi di centinaia di militari orrendamente uccisi. Il servizio di Giancarlo La Vella:

L’esercito iracheno allo sbando. Non è solamente il segno di un Paese in difficoltà di fronte all’offensiva delle milizie sunnite, ma anche la testimonianza degli orrori della nuova guerra irachena. Il governo del premier filo-iraniano, Nuri al Maliki, ha puntato il dito contro i miliziani estremisti per il massacro di centinaia di soldati, smentendo le notizie sull'avanzata dei qaedisti. Decapitazioni, impiccagioni, colpi d’arma da fuoco. Questa la sorte di molti dei soldati che non hanno mezzi e organizzazione per opporsi ai miliziani. Immagini orribilmente crude proprio nel giorno della visita di John Kerry a Baghdad, che ha promesso aiuti concreti e costanti di Washington al Paese del Golfo, al fine di adottare quelle misure necessarie alla unificazione e alla stabilità dello stesso, attraverso una risposta decisa all’Isil, minaccia in questo momento per l’Iraq e per l’intera regione mediorientale.

Ma quale ruolo possono giocare gli Stati Uniti nella crisi irachena? Marco Guerra lo ha chiesto ha Dennis Redmont, responsabile della comunicazione del Comitato Italia-Usa:

R. – Per adesso, l’atteggiamento degli Stati Uniti è stato abbastanza prudente. Però, ci sono stati contatti che questa settimana continueranno con l’Iran. Ricordiamo che l’Iran, che ha abbastanza leve sul governo di Maliki, ha già cooperato con gli Stati Uniti nel 2001 per il problema dei talebani in Afghanistan, perciò si potrebbero trovare degli interessi che coincidano tra l’Iran e gli Stati Uniti. L’unico problema, naturalmente, è che gli Stati Uniti devono mettere d’accordo tutti i Paesi della zona che in un certo modo sono coinvolti. Quindi, la Turchia dovrebbe chiudere le frontiere, per impedire che dei rinforzi vadano ad aiutare l’Isil, e poi l’Arabia Saudita il Kuwait e alcuni Stati del Golfo dovrebbero fermare i finanziamenti all’Isil. Le scelte di Obama non sono delle scelte facili, popolari e operative. Alcune soluzioni sono brutte e alcune molto brutte.

D. – Siria, questione palestinese, Iraq, Egitto... Quale di queste situazioni al momento è la più critica e la più importante per gli Stati Uniti in Medio Oriente?

R. – Certamente, quella dell’Iraq è la più drammatica. Per questo Kerry è finito in Iraq. Ma dobbiamo vedere quanto potere di contrattazione ha con al-Maliki. Lo stesso Maliki è un presidente abbastanza debole, che si appoggia alla componente sciita con abbastanza enfasi.

D. – L’avanzata dei fondamentalisti sunniti sta ridisegnando diversi equilibri regionali. Poi, ci sono gli sciiti, i qaedisti, le monarchie arabe .. Insomma, il Medio Oriente sembra un "tutti contro tutti". Che leve hanno gli Stati Uniti per intervenire in questo scacchiere e che leve hanno i partner degli Stati Uniti?

R. – Gli Stati Uniti potrebbero considerare un intervento in Iraq attraverso un’azione congiunta per dare appoggio ai moderati sunniti in Siria, perché questo potrebbe mettere pressione sull’Isil e darebbe l’impressione al mondo esterno che non stiano intervenendo per appoggiare i sunniti. Però, naturalmente, Obama potrebbe adottare una posizione ancora più prudente: lasciare che l’Iraq si frammenti nei famosi tre pezzi, cioè sunniti, sciiti e curdi, del quale si è parlato durante molti anni e che sembra prendere forma.

 

 

 








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