2014-06-21 14:03:00

Egitto: 183 condanne a morte per i Fratelli Musulmani


In Egitto condanna a morte per il leader dei Fratelli musulmani Mohamed Badie e altri 182 sostenitori del movimento islamico accusati di omicidio e incitamento alla violenza. Protesta la piazza, mentre Amnesty International chiede l’annullamento delle sentenze e ammonisce: così i giudici perdono ogni credibilità. Cecilia Seppia:

Già ieri in Egitto il clima era tornato ad accendersi, con i sostenitori del deposto presidente Morsi di nuovo in piazza al Cairo e in altre città del Paese per protestare contro le sentenze di condanna a morte per il loro leader ed altri esponenti, emesse dal Tribunale di Giza. Manifestazioni sfociate in scontri con la polizia, tre morti, diversi feriti e 53 persone finite in manette. Stamattina un’altra doccia fredda è arrivata dal tribunale di Mynia: la pena capitale oltre a Mohamed Badie, coinvolge 182 membri dei Fratelli Musulmani, accusati a vario titolo di omicidio e incitamento alla violenza: a confermarlo, stavolta è il Gran Muftì,  la più alta autorità religiosa del Paese cui spetta la ratifica di questo tipo di sentenze, inflitta inizialmente a 683 persone. Gli avvocati annunciano il ricorso in Cassazione, i manifestanti promettono nuove proteste, mentre il neopresidente Al Sisì che domani incontrerà per la prima volta il segretario di Stato americano Kerry, esorta la polizia a proteggere il popolo e i diritti umani.

 

Su queste sentenze di condanna a morte Benedetta Capelli ha raccolto il commento di Stefano Torelli, ricercatore Ispi, Istituto di politica internazionale:

R. - Sicuramente la condanna a morte del leader della Fratellanza Musulmana egiziana Mohammed Badie – tra l’altro abbastanza prevedibile - è veramente un colpo molto duro. Quindi la Fratellanza Musulmana, dal punto di vista politico, in questo momento è totalmente fuori gioco. Resta da vedere quanto e se sarà in grado di organizzarsi da un punto di vista anche sociale con una presenza più dal basso e se un giorno riuscirà a riorganizzarsi e a ristrutturare anche il partito politico. Il rischio che c’è alle porte - al contrario - è quello di una radicalizzazione del movimento e quindi di un nuovo scontro con le istituzioni.

D. - Con l’elezione del generale Al-Sisi si è chiuso davvero un capitolo della recente storia egiziana, oppure ci sono ancora degli strascichi?

R. - Per il momento un ciclo sembra abbastanza chiuso. 

D. - Il segretario di Stato americano Kerry è atteso in Egitto. Che ruolo possono giocare gli Stati Uniti nel futuro, anche economico, del Paese?

R. - Gli Stati Uniti sono stati molto scostanti dal dopo Mubarak. Sostanzialmente hanno accettato la caduta di Mubarak, poi sostenuto in un primo momento la Fratellanza Musulmana quando questa è andata al potere; quando Al-Sisi ha fatto il colpo di Stato che ha portato alla caduta di Morsi, gli Stati Uniti hanno - di fatto - accettato una situazione che ormai si era verificata … Quindi non hanno giocato un ruolo di primo piano. Anche dal punto di vista economico, in un primo momento, avevano ritirato gli aiuti militari - perché sostanzialmente erano questi gli aiuti che gli Stati Uniti davano all’Egitto - ma poi, piano piano pare che, viste le ultime dichiarazioni di Obama e di Kerry, gli Stati Uniti cominceranno a fornire nuovamente degli aiuti all’Egitto, anche perché c’è il rischio – come sta accadendo su altri fronti – che la Russia arrivi a colmare quel vuoto che gli Stati Uniti lascerebbero. Quindi per la stabilità dell’area e della regione, gli Stati Uniti - di fatto - continueranno ad accettare la situazione che si è verificata e quindi a sostenere l’attuale governo.








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