2014-06-11 14:10:00

Card. Koch: ecumenismo è sincerità non cortesia di facciata


L’esteriorità, l’accontentarsi della facciata e non sondare invece la realtà di un rapporto – riconoscendone con sincerità i pregi ma anche i suoi limiti – non fa bene al dialogo ecumenico. È il pensiero di fondo del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, letto in apertura, lunedì scorso, della “Receptive Ecumenism Conference”, in corso fino al 12 giugno alla Fairfield University del Connecticut, negli Stati Uniti.

Parlando del suo essere stato al fianco di Papa Francesco nel recente pellegrinaggio in Terra Santa – e in particolare nel momento del suo abbraccio al Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I, 50 dopo l’analogo gesto fra Paolo VI Atenagora – il cardinale Koch osserva che il mezzo secolo trascorso ha visto portare “molto frutto” a un dialogo basato sulla “verità” e sull’“amore”. In uno dei suoi sermoni sulla “simpatia, il cardinale John Henry Newman, ricorda il presidente del dicastero per l’Unità dei cristiani,  si disse convinto che i “cristiani fossero molto più simili l'un l'altro, anche nelle loro debolezze, di quello che spesso si era immaginato”.

In particolare, il Beato Newman descriveva la tendenza dei cristiani di diversa confessione a “non sondare completamente le ferite” della loro natura, preferendo  piuttosto mostrarsi “amabili e cordiali a vicenda in parole e le opere”, senza che il loro amore fosse “più grande”. “Le viscere del nostro affetto – affermava il Beato – sono ristrette”, “temiamo” un rapporto che “inizi alla radice” e “di conseguenza, la nostra religione, vista come un sistema sociale, è vuota”.

Una constatazione, quella del cardinale Newman, applicabile non solo ai singoli cristiani ma anche – afferma il cardinale Koch – al loro essere comunità: “Lo ‘standard della nostra santità’ è diminuito”, sostiene, e anche “la ‘nostra visione della verità’ è inibita”. Viceversa, il porporato riconosce l’efficacia del “dialogo di verità” proposto dal “Receptive Ecumenism”, nel quale l’onesta ammissione delle “debolezze” si trasformi in “un vincolo di unione”.

“Siamo di fronte oggi – conclude il cardinale Koch – a tanti problemi comuni nella nostra vita ecclesiale, eppure nei nostri dialoghi ci accontentiamo troppo ‘dell'esterno delle cose’, di essere ‘amabile e cordiali l’un l’altro in parole e opere’. Ma il dialogo che inizia alla radice delle cose, con le sfide reali e le ferite della nostra vita ecclesiale, è quello in cui le nostre relazioni crescono e si approfondiscono. È davvero un dialogo d'amore”.








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