2014-06-08 13:02:00

Centrafrica, qualcosa non funziona nel disarmo delle milizie


Resta alta la tensione in Centrafrica dopo l’attentato alla Chiesa di Nostra Signora di Fatima a Bangui e alla base di Medici Senza Frontiere. La popolazione della capitale chiede maggiore sicurezza e che si operi in maniera concreta per il disarmo delle milizie.Gianmichele Laino ha intervistato padre Aurelio Gàzzera, missionario in Centrafrica:

R. -  Mi aspettavo di peggio, ma tutto sommato la situazione è relativamente tranquilla, almeno nella zona di Bangui, ma anche sulla strada - i 400 chilometri che abbiamo fatto - non abbiamo avuto grossi problemi anche perché stava passando un convoglio scortato dai militari e quindi forse questo ha fatto sì che le varie barriere degli anti-Balaka per la strada non creassero troppi problemi. Comunque la tensione rimane molto alta, quindi ci si aspetta spesso attentati o fatti del genere.

D. - La Chiesa locale sta sollecitando le truppe dell’Onu affinché realizzino effettive operazioni di disarmo nei confronti delle milizie. Cosa non sta funzionando?

R. - C’è un contingente francese ed un contingente dell’Unione Africana, però non sta funzionando niente. Anche nell’attentato alla Chiesa di Fatima a Bangui le forze multinazionali sono arrivate solo dopo un’ora e mezzo che avevano sparato. Quindi, ci si inizia a chiedere se effettivamente hanno intenzione di fare qualcosa o se sono lì un po' per facciata, un po’ per opportunità, anche perché sempre più spesso ci sono problemi soprattutto economici per quello che riguarda la gestione della Misca (Mission to the Central African Republic) che è finanziata dall’Unione Europea, dall’Onu; ma nella gestione dell’Unione Africana ci sono spesso dei problemi economici e non hanno mezzi per spostarsi, né carburante.

D. - Gli ispettori Onu in un rapporto hanno affermato che è prematuro parlare di pulizia etnica, a proposito del Centrafrica. È proprio così?

R. - Sì e no, nel senso che ci sono violenze, ci sono episodi ma non sono ancora così violenti. Comunque, di fatto, c’è tutta una zona da Banguì, la parte ovest, dove praticamente non ci sono più musulmani, sono pochissimi. Sono quelle migliaia di musulmani che sono stati obbligati a partire a causa dell’insicurezza.

D. - La comunità cristiana in Centrafrica come sta vivendo questo nuovo inasprimento dello scontro?

R. - Da una parte con paura anche perché temono vendette da parte di queste milizie, dall’altra parte anche con molta maturità: quasi tutte le parrocchie si sono aperte, in un modo o nell’altro, ad accogliere tutti, anche i musulmani. È quindi anche una bella opportunità per la Chiesa.

D. - Quali sono i rischi che il conflitto da politico diventi interreligioso?

R. - I rischi ci sono anche se normalmente noi tendiamo sempre ad evitare questa connotazione. Il problema è più comunitario nel senso che i non musulmani attaccano i musulmani soprattutto perché hanno, o avevano, il commercio e la gestione di molte ricchezze. Il problema è che si va sempre più verso un inasprimento e l’attacco alla Chiesa di Fatima è uno di questi. Poi c'è la paura di vendette dalla parte dei musulmani e anche la paura di Boko Haram, che ormai ha già operato anche in Camerum che è molto vicino. C’è molta paura.








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