2014-06-01 13:54:00

Il nunzio in Centrafrica: comunità internazionale agisca presto


Si sta attenuando la tensione in Centrafrica, dopo l’attacco lanciato mercoledì scorso da miliziani islamici contro la Chiesa di Nostra Signora di Fatima a Bangui, in cui hanno perso la vita almeno 19 persone che si erano rifugiate in questa parrocchia. Sulla situazione nella capitale ci riferisce il nunzio in Centrafrica, mons. Franco Coppola, al microfono di Sergio Centofanti:

R. - Si può dire che piano piano sta ritornando alla normalità. L’attacco è avvenuto mercoledì pomeriggio; non era mai accaduta una cosa del genere finora, quindi chiaramente ha sollevato un’ondata di indignazione popolare: la gente si è riscoperta non protetta, non difesa davanti ad un attacco che toccava un luogo sacro per la prima volta. Questo ha provocato una grande indignazione, una grande sollevazione popolare che si è espressa con grande rabbia … Poi venerdì il capo dello Stato, la presidente Samba Panza, che si trovava all’estero, è rientrata e ha invitato la gente ad un maggiore autocontrollo, ha promesso indagini, ha promesso il disarmo di quella zona della capitale che finora non era mai stata disarmata e ha indetto tre giorni di lutto nazionale. Questo ha fatto sì che la gente sentisse, quanto meno, presa in considerazione la propria preoccupazione, il dolore, e questo ha ridotto da subito la violenza delle proteste. C’è un clima d’attesa: si vuole vedere quanto queste misure annunciate dalla presidenza e dal governo saranno efficaci ed effettivamente messe in pratica.

D. - C’è il rischio che il Centrafrica ricada nella guerra civile o in una guerra interreligiosa?

R. - È guerra civile! Ci sono due milizie centrafricane che si fanno la guerra. Purtroppo il fatto che la comunità internazionale, le forze armate internazionali non siano sufficienti a garantire né la sicurezza, né l’interposizione tra le due parti, fa sì che la popolazione si senta protetta da queste milizie. La parte cristiana si sente protetta dalle milizie anti-musulmane e la parte musulmana si sente protetta dalle milizie Seleka a maggioranza musulmana. Questo è molto pericoloso. Non è assolutamente una guerra di religione nel senso classico, non è un problema religioso, teologico, non si vuole la conversione degli altri. É un problema di controllo del potere.

D. - Una lotta di potere che mira anche alle ricchezze del Paese?

R. - Senz’altro. Questo Paese ha un sottosuolo molto ricco e questo ovviamente fa gola a tanti. Il disordine logicamente fa gioco allo sfruttamento incontrollato della risorsa.

D. - Quale appello si può lanciare alla Comunità internazionale?

R. - Di fare presto, perché è vero che il Consiglio di Sicurezza ha deciso il dispiegamento dei Caschi blu, ma il loro arrivo è previsto verso la fine di settembre. Da qui a settembre mancano ancora dei mesi. Non è detto che le cose non possano peggiorare ulteriormente. Purtroppo, le forze internazionali presenti al momento nel Paese non sembrano capaci di controllare la situazione; sembrano un po’ al di sotto di quanto sarebbe necessario. Quindi manca la buona volontà, manca il numero. Diciamo che probabilmente non ci si è resi conto di quanto il problema sia complesso, quindi di quanto sia necessario investire un maggior numero di forze. Il Centrafrica è un Paese due volte più grande dell’Italia: come si può pensare che 5500 soldati possano controllare un territorio di tali dimensioni? Questo è il problema. Le forze che al momento sono state messe in campo sono nettamente insufficienti. Le Nazioni Unite hanno deciso un dispiegamento di quasi 12 mila persone, il doppio in pratica. Dovrebbe essere una misura - speriamo - sufficiente. Però, questo avverrà a settembre, e noi siamo all’inizio di giugno…








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