2014-05-25 11:30:00

Egitto: scontri alla vigilia delle elezioni, 3 morti


Sangue in Egitto alla vigilia delle presidenziali di lunedì. Tre morti e 23 feriti negli scontri avvenuti in diverse città del Paese tra polizia e Fratelli musulmani. Diciannove studenti pro-morsi sono stati condannati a 5 anni di reclusione per gli scontri all’Università di al Azhar dello scorso  ottobre. Intanto, il Gran Mufti della Repubblica Shawky Allam ha lanciato un appello a recarsi in massa alle urne, per scegliere tra il favorito ex capo delle forze armate Al Sisi e Sabbahi, attivista ed esponente della sinistra. Per un commento sulle tensioni pre-elettorali e sui due sfidanti alla presidenza, Marco Guerra ha intervistato Silvia Colombo, ricercatrice dell’istituto affari internazionali: 

R. – Queste elezioni presidenziali rappresentano uno snodo cruciale nella convulsa transizione egiziana, nonostante – sappiamo bene – non ci si debbano aspettare grosse sorprese. Tuttavia, è importante collocare questo passaggio all’interno di un anno cruciale, un anno molto complesso per la storia politica egiziana. I Fratelli musulmani, che sono stati decapitati per quanto riguarda la propria leadership, con centinaia di figure di spicco del movimento finite in carcere, è tuttavia un movimento che ha forti radici all’interno del Paese. E proprio la componente giovanile è quella che oggi, orfana della leadership, sta tuttavia continuando a esprimere il proprio malcontento nei confronti della politica portata avanti dai militari. Queste due componenti, la Fratellanza musulmana da una parte e i militari dall’altra, che usciranno sicuramente vittoriosi e rafforzati da questa tornata elettorale, continueranno certamente ad affrontarsi nei prossimi mesi. E proprio quello che succederà nei giorni e nelle settimane immediatamente successive al voto potrà indicare se l’Egitto si incamminerà verso una nuova spirale di violenza – con una progressiva e ulteriore radicalizzazione di alcune frange del movimento della Fratellanza musulmana – oppure se il sistema politico riuscirà a creare le condizioni per una inclusione anche di questo importante attore popolare.

D. – Gli egiziani sceglieranno tra l’ex capo dell’esercito, Al-Sīsī, e Sabahi, attivista di sinistra. Il confronto appare dall’esito scontato, cioè l’uomo forte di Stato vincerà?

R. – La campagna di Al-Sīsī è stata condotta in un’escalation, con una crescente tensione verso la propaganda nazionalistica e anche l’appropriazione dell’antico modello nasseriano, quindi il padre della patria, l’unico in grado di garantire la stabilità del Paese. Hamdeen Sabahi certamente gode di un certo favore all’interno di alcune sezioni della popolazione, ma non è in grado di sfondare quello che è il muro di sostegno che circonda la candidatura di Al-Sīsī.

D. – Quali sfide aspettano il nuovo presidente egiziano?

R. – La situazione ha in realtà subito un deterioramento, dal punto di vista socioeconomico in questi anni. Quindi, la sfida principale che il nuovo governo, il nuovo presidente dovrà affrontare è sicuramente quella di normalizzare, con politiche efficaci e una revisione, possibilmente anche del modello economico, il funzionamento dello Stato. Pensiamo alla crisi della sicurezza, alla crisi ecologica, che si sta manifestando nelle città, ma anche nella zona del delta, con danni fortissimi per l’agricoltura, per la sostenibilità del popolo egiziano, dal punto di vista della sussistenza quotidiana. Tutta questa situazione d’instabilità, di crisi economica, non fa altro che acutizzare il malcontento di alcune parti della popolazione, che sono sempre pronte comunque a scendere in piazza.

 

 

 

 

 








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