2014-05-20 14:55:00

Libia nel caos: chiuso il parlamento, voto da rifare il 25 giugno


La crisi in Libia. La Commissione elettorale libica ha annunciato l'elezione del nuovo parlamento il 25 giugno, dopo che ieri l'assemblea era stata
sciolta in seguito ai disordini dei giorni scorsi a Tripoli e a Bengasi. Un gruppo di attivisti libici vicino ai Fratelli Musulmani ha denunciato il tentativo di golpe nel Paese da parte delle forze armate che fanno capo al generale Khalifa Haftar. La comunità internazionale si divide sulla possibilità di intervenire diplomaticamente o sul terreno. Sulla situazione Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:

R. – Il generale Khalifa Hiftar sta coalizzando attorno a sé la parte che si contrappone alle bande e alle fazioni legate ai Fratelli Musulmani e al fondamentalismo islamico; dall’altra, ci sono coloro che si riconoscono nell’islam militante e che ultimamente avevano preso il controllo di una parte del territorio e anche delle istituzioni libiche.

D. – A differenza di altre crisi, di altre "primavere", questa sembra suscitare maggiore attenzione da parte della comunità internazionale: che differenza c’è?

R. – Sicuramente, quella in Libia – come già in Tunisia e in Egitto, prima – era una rivolta popolare motivata da un malcontento socio-economico ma anche politico: la mancanza di democrazia, in questi Paesi. Ora, noi sappiamo che poi alla fine Gheddafi è stato prima emarginato e poi ucciso e da quel momento nessuna forza è più riuscita a prendere il controllo dell’intero Paese: da due anni a questa parte, di fatto le istituzioni in Libia non sono mai state espressione di una vera democrazia in grado di esprimere anche uno Stato moderno.

D. – I poteri vicini all’ex regime di Gheddafi, che ruolo hanno?

R. – Tutti coloro che si rifacevano a quella galassia che ruotava attorno al Colonnello, ha seguito poi strade diverse e si sono ricomposte attorno a interessi specifici. Chi ha avuto, come nel caso di Hiftar, l’appoggio occidentale ha poi trovato la forza di riorganizzarsi e oggi di condurre un’offensiva che sembrerebbe prevalere su una parte del Paese.

D. – In un Paese com’è oggi la Libia, senza Parlamento e con istituzioni deboli, che rischi sta correndo la popolazione civile?

R. – Sicuramente, la popolazione civile è la prima vittima degli accadimenti di questi giorni; il rischio è che si inneschi una nuova guerra civile che, peraltro, non è mai del tutto terminata in questi mesi, e che si trovi tra i due fuochi. L’altro rischio, naturalmente, è quello delle istituzioni: se nessuna forza prevarrà, è chiaro che avremo quella situazione di non-Stato che è la situazione che ormai prevale in Libia da circa due anni.








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