2014-05-20 16:14:00

Cannes: il mondo rurale italiano nel film "Le meraviglie"


Con “Le meraviglie”, unico film italiano in concorso al Festival di Cannes e da giovedì nelle sale, Alice Rohrwacher stupisce e commuove la platea del pubblico, ricevendo una vera ovazione. Fragile storia di una famiglia immersa nella natura e dedita all’agricoltura, quadro desolato di un mondo rurale oggi scomparso, raccontato con estremo rigore e forte personalità. Il servizio di Luca Pellegrini:

All’inizio un solitario casolare di campagna, in rovina, è vuoto. E così anche alla fine. Abbandonato. Due estremi, due immagini, che hanno il sapore della sconfitta. E nel mezzo la storia di una famiglia che l’ha abitato, non si sa quando e per quanto, una vita dolce come il miele che produce, amara come può essere per chi affoga ogni giorno nella pura sopravvivenza, nei pochi affetti, nella solitudine, nella difesa del proprio territorio - brullo e dai flebili ricordi etruschi - nel tentativo di aggrapparsi a un mondo che intorno riserva soltanto delusioni e frustrazioni, aggrappato a un passato remoto di autarchia e di dignità. “Le meraviglie” - che è anche il titolo dell’intenso e duro film di Alice Rohrwacher in concorso a Cannes, accolto da moltissimi applausi, lacrime e standing ovation - sono quelle che si nascondono dentro lo spirito sensibile di una ragazzina, Gelsomina, la splendida protagonista interpretata da Maria Alexandra Lungu, che cerca una ragione del suo esistere e una speranza per il suo futuro. Oppure sono quelle fittizie e fraudolente con le quali un programma televisivo scalcinato, condotto da una vacua e bravissima Monica Bellucci, tenta di illudere spettatori ingrigiti promuovendo prodotti agricoli e assicurando successi ai vincitori della competizione.

Famiglia, dunque, che è al centro di tanti film sulla Croisette. Che la regista getta su un suolo fangoso e un presente incerto: la mamma, interpretata dalla sorella Alba Rohrwacher, stringe a se, non riuscendoci, le quattro figlie, legate alla vita dei campi e al duro lavoro da un padre, origine ignota, inflessibile e impermeabile. Una ragazza, presenza di cui poco si conosce, e un ragazzino, affidato dai servizi sociali per la rieducazione, entrambi tedeschi, s’inseriscono in questo gruppo di perdenti, ciascuno portando sogni e tensioni. Il film è poesia, irrorata di rudezza alla Rossellini e di sogno alla Fellini, una vena di rimpianto, mai un atto di accusa. Una regia attenta al sapore del racconto, alle persone e non ai personaggi, alla vita e non ai vitalismi velleitari, in cui le voci degli esseri umani e quelle della natura sono l’unica musica possibile in questo universo così lontano e sconsolato.








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