2014-05-18 14:31:00

A Lamezia Terme, la speranza rinasce dalla Dottrina Sociale della Chiesa


Si è chiuso, in questi giorni a Lamezia Terme in Calabria, l’ottavo anno della scuola di Dottrina Sociale, fortemente voluta dal vescovo lametino, mons. Luigi Cantafora. L’iniziativa che coinvolge tutte le realtà ecclesiali e sociali del territorio ha, nel corso degli anni, trovato anche il sostegno di realtà importanti come l’Università “Sophia” di Loppiano e la Fondazione Toniolo di Verona. L’iniziativa è stata inoltre incoraggiata da Benedetto XVI, durante la sua visita a Lamezia Terme nel 2011. Sul bilancio di questi 8 anni, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza del vescovo Luigi Cantafora, incontrato nell’episcopio di Lamezia:

R. – Il bilancio è molto positivo, da un lato, e speranzoso dall’altro. Positivo, perché in questi otto anni abbiamo potuto verificare quanta sete ci sia tra la gente, quanta voglia di bene comune, di una misura alta della giustizia, basata appunto sul bene comune. Dall’altro, è un bilancio speranzoso, perché il banco di prova di questa semina sono le coscienze, sono le scelte di ognuno nel lavoro, nella politica e nel servizio agli altri. Per questo si attende un raccolto di giustizia, in una comunità che soffre molto, quella di Lamezia, per la malavita, per la ‘ndrangheta e l’illegalità.

D. – Quali sono i frutti che come pastore sta raccogliendo tra i suoi fedeli e, in vero, non solo tra i fedeli, perché la scuola coinvolge tutte le realtà sociali di Lamezia?

R. – Si fa sicuramente strada una maggiore consapevolezza di appartenere alla Chiesa e a questa Chiesa lametina. Essere cristiani, perciò, non significa distaccarsi dal mondo, ma anzi poterlo servire ancora meglio di quanto si potrebbe fare se non si fosse cristiani. Avverto ancora il bisogno di una Chiesa che sappia parlare ai poveri e in loro difesa, dove spesso i poveri sono gli imprenditori, vittime dell’usura e del pizzo; oppure le migliaia di disoccupati, anche i delusi dalle ingiustizie sociali e politiche.

D. – Papa Francesco sottolinea spesso il contrasto tra "cultura dell’incontro" e "cultura dello scarto". Questo richiamo come viene vissuto nella sua diocesi?

R. – La nostra diocesi di Lamezia è molto particolare, per la sua posizione geografica, che la fa naturale crocevia di incontro tra le persone. Con la Caritas abbiamo avviato anzitutto l’Agenzia di mediazione culturale, per offrire, insieme al servizio diocesano Migrantes, un luogo e un aiuto concreto per l’incontro con le migliaia di immigrati, che arrivano qui a Lamezia. Insieme a questo abbiamo attivato anche dei dormitori e una mensa, dove vengono distribuiti circa 185 pasti al giorno. Inoltre abbiamo rapporti fraterni con gli immigrati ortodossi. Si tratta di piccoli segni, che non hanno nessuna pretesa, ma che ci aiutano a concretizzare, anche a livello istituzionale, una presenza che non si chiude, ma che resta aperta all’incontro con l’altro.

Uno dei grandi meriti di questa scuola di Dottrina Sociale, in un territorio non facile come quello di Lamezia, è quello di aver ridato speranza a molti giovani. A sottolinearlo è don Leonardo Diaco, direttore della Scuola lametina di Dottrina Sociale della Chiesa e dell'Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro, intervistato da Alessandro Gisotti:

R. – Il desiderio è quello di “rimotivare” la speranza. Io ricordo, in uno dei primi incontri, che i giovani si sentivano derubati della speranza, del futuro. Credo che lo sforzo, e anche il desiderio, del vescovo e della Chiesa diocesana sia quello di ridare speranza attraverso un lavoro, che non sia di monadi, ma di un corpo che cerca di farsi spazio nonostante la difficoltà del contesto in cui viviamo.

D. – Come sappiamo, Papa Francesco fin dai primi giorni del suo Pontificato ha proprio messo l’accento su questo: “Non lasciatevi rubare la speranza”. E’ questo che si cerca di fare concretamente?

R. – Credo che il percorso della scuola sia un’intuizione profetica e come tutte le profezie deve avere una sua fedeltà nel tempo. Credo che proprio la durata della scuola sia il frutto più bello. A volte, infatti, io dico che bisogna passare dalle sensazioni alla conversione del cuore. Quindi le sensazioni al momento ci toccano, ma poi ci deve essere quell’”itineranza”, quel cammino, quella fedeltà, che permette di trasformare le cose. Credo che sia proprio questo il segno della speranza che questa scuola ha realizzato, soprattutto sui più giovani, che hanno bisogno di punti di riferimento. E l’esperienza è stata un punto di riferimento, anche perché non si è fermata solo all’aspetto dell’informazione, ma proprio della trasmissione - la trasmissione dei contenuti della fede, delle esperienze - e ha portato anche dei frutti concreti, come il desiderio di andare ad aiutare chi è maggiormente in difficoltà, di aprirsi all’altro, di non ripiegarsi su se stessi, di confrontarsi sui progetti condivisi.








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