2014-05-17 13:43:00

Meriam: la forza di una donna cristiana che sta commuovendo il mondo


Meriam deve vivere. Si fa forte in tutto il mondo la campagna di mobilitazione per salvare Meriam Yahia Ibrahim Ishag, la giovane donna cristiana sudanese condannata a morte per aver sposato un cristiano. Secondo la sharia, in vigore in Nord Sudan, infatti, la giovane 27enne - incinta all’ottavo mese - è “obbligatoriamente” musulmana perché figlia di padre musulmano, anche se questi l’ha abbandonata quando aveva 6 anni. Nelle ultime ore, si è affacciata l’ipotesi che possa esserci un nuovo processo che escluda la pena capitale, mentre continua la pressione internazionale nei confronti di Khartoum. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Un bimbo che cresce nel suo grembo, un altro accanto a lei. Intorno le mura fredde di una cella e la paura che una condanna ripugnante le tolga la vita e con essa la gioia di vedere i suoi figli crescere. Il mondo si è abituato, suo malgrado, a conoscere il nome di Asia Bibi, che i figli da anni li può vedere solo attraverso le sbarre. “Blasfema”, è l’accusa contro quella coraggiosa donna cristiana del Pakistan. Ora, purtroppo, il mondo ha conosciuto anche il nome di Meriam. Una donna del Sudan la cui unica colpa è essere cristiana. L’hanno definita apostata, adultera. E per questo l’hanno condannata a morte e, come se non bastasse, a cento frustate prima del boia.

Sarebbe stato facile per lei “convertirsi” all’islam, come le è stato chiesto dai suoi aguzzini e salvare la propria vita. Ma ha scelto Cristo, come aveva fatto sua madre, un’etiope cristiana ortodossa. Nella cella, fa sapere il marito minacciato di morte, come minacciato è l’avvocato della famiglia, Meriam prega e si prende cura dei suoi figli. Di quello che sente crescere sotto il suo cuore e per il quale non è stata concessa neppure una visita medica. E del primogenito che ha solo 20 mesi ed è costretto a passare i giorni felici dell’infanzia in una prigione, al buio, tra gli insetti.

Per Meriam sembra essersi mobilitato il mondo intero. L’indignazione corre sulla Rete e in tanti, a partire dal segretario generale dell’Onu, promette impegno per salvarla. Questa drammatica vicenda, però, non è un caso isolato. Semmai è la punta di un iceberg. Un iceberg di persecuzioni, sopraffazioni di ogni tipo contro la minoranza cristiana. Violenze che si fanno ancora più feroci se quel discepolo di Gesù è una donna. La riflessione di Marta Petrosillo, portavoce in Italia di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”:

R. - Noi di Aiuto alla Chiesa che soffre conosciamo molto bene la situazione dei cristiani in Sudan, di cui forse non si parla così tanto spesso come in altri Paesi. E’ veramente una situazione drammatica. Sappiamo che nel Paese vige la “sharia” e viene applicata a tutti i cittadini, di qualsiasi fede essi siano. Ricordo qualche anno fa il caso di una ragazza cristiana frustata perché indossava una gonna un centimetro al di sopra del ginocchio. Così come tanti altri casi simili.

D. - L’apostasia, la blasfemia: ci sono Paesi in cui è praticamente impossibile di fatto avere la libertà religiosa…

R. – I cristiani sono sicuramente i più colpiti da questo tipo di strumenti di persecuzione, perché così li possiamo chiamare. La legge sulla blasfemia è un caso lampante.

D. – In questa situazione gravissima per Meriam, oltre all’accusa di apostasia c’è anche quella di adulterio…

R. – Colpisce perché essendo lei musulmana, a quanto dice il governo sudanese, non avrebbe potuto sposare un non musulmano, quindi il matrimonio non è valido e dal momento che lei è ovviamente incinta i loro rapporti risultano come extra-coniugali. Il tema dell’adulterio nella legge islamica è davvero un altro tema scottante che riguarda da vicino tantissime donne di qualsiasi religione ma colpisce anche le donne cristiane. Questo perché il reato di adulterio, il sesso extra-coniugale, viene punito in molti casi anche con la condanna a morte. Abbiamo casi in cui le donne che sono state violentate non riportano le violenze perché per la legge islamica, una donna, per provare di essere stata violentata, ha bisogno di quattro testimoni maschi di religione musulmana. I casi sono tantissimi. Immaginiamo una donna, per di più cristiana, in un Paese come ad esempio il Pakistan, e la difficoltà che avrà per ottenere giustizia: riusciamo a comprendere perfettamente che queste donne spesso non denunciano i loro aggressori e ciò è un’ulteriore arma di chi commette questi crimini, queste violenze contro le donne, perché sa che resterà impunito, specialmente se la vittima è una donna cristiana.

D. – Meriam come Asia Bibi, una donna, una donna madre, con tutto da perdere, la vita, la famiglia, come sta succedendo, eppure non rinnegano la fede cristiana…

R. – Sono testimonianze forti che devono farci riflettere e soprattutto due donne. Perché oggi come oggi, in molti Paesi, essere una donna cristiana significa essere due volte vulnerabile, sia perché donna sia perché appartenente alla comunità cristiana. Sono davvero due esempi che devono farci riflettere, due esempi di una forte testimonianza di fede.

 








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