Siria: ogni minuto una famiglia lascia la propria casa. Allarme per le armi chimiche
A causa della guerra, ogni 60 secondi una famiglia siriana è costretta a lasciare
la propria casa. Lo rivela un rapporto del Centro di monitoraggio degli sfollati interni
(Idmc), pubblicato oggi a Ginevra. Secondo la ong, dopo oltre tre anni di conflitto,
la Siria rimane il Paese più interessato dal fenomeno degli sfollati interni. Ad aggravare
il quadro, l’ultima denuncia dell’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo, secondo
cui dall’inizio dell’anno circa 850 detenuti sono morti perché torturati o vittime
di esecuzioni sommarie. Soltanto ieri, invece, "Human Rights Watch" aveva affermato
che elicotteri del regime siriano non più tardi del mese scorso avrebbero sganciato
alcuni barili-bomba pieni di cilindri di gas clorino contro diverse città del nord
della Siria. E il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, aveva quantificato
l’uso delle armi chimiche in Siria in 14 volte dalla fine del 2013, senza dimenticare
che nell’estate 2013 si parlò di oltre mille morti per l’attacco con gas tossici a
Ghouta. Per un commento sulla questione, Giada Aquilino ha sentito il parere
di Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali
Archivio Disarmo:
R. – Le notizie
che ci giungono sono molto frammentarie, imprecise, ma il dato è che qualcosa è stato
usato. Non sappiamo se sono armi chimiche propriamente dette, come l’iprite, il sarin,
il tabun e così via. Corrono voci che siano prodotti di industrie chimiche, comunque
dannosissimi per la salute umana. Purtroppo, le informazioni non ci permettono di
avere elementi certi. Quello che sappiamo è che sembra siano state usate perché ci
sono testimoni, fotografie, riprese. E’ un elemento che riporta all’attenzione dell’opinione
pubblica la vicenda siriana, che in questi ultimi mesi era andata scomparendo dai
nostri mass media. E’ in realtà una guerra che ancora si combatte, sia con le armi
convenzionali, sia con queste armi chimiche, anche se appunto non sappiamo esattamente
se provengano dagli arsenali individuati - e che l’Organizzazione mondiale per la
proibizione delle armi chimiche (Opac) stava monitorando o controllando - o se siano
invece di altra provenienza.
D. – Come procede la fase di disarmo in Siria
sotto la supervisione degli ispettori Opac-Onu?
R. - Procede molto a rilento.
Tutto il processo, secondo gli accordi internazionali, avrebbe dovuto concludersi
entro giugno. A oggi, si può temere di non farcela. Però, già il fatto che la Siria
abbia ufficialmente aderito e che ci possa essere un intervento di controllo da parte
dell’Opac, e quindi anche una forma di monitoraggio, è certamente un passo in avanti.
Ma la situazione di guerra impedisce anche di monitorare se tutti questi arsenali
siano effettivamente sicuri.
D. - Ci sono polemiche da una parte e dall’altra
su chi poi effettivamente usi queste armi chimiche…
R. – Sì, certamente. Sappiamo
che in guerra la prima vittima è la verità. Addirittura, secondo alcune fonti di intelligence
si era saputo che quelle armi chimiche usate nel famoso attacco dello scorso anno,
a Ghouta, probabilmente erano state usate dai ribelli stessi per incolpare il governo
e provocare un intervento internazionale. Purtroppo, a tutt’oggi, non si è riusciti
ad avere informazioni certe in merito. E’ opportuno anche ricordare che le armi chimiche
non sono mai state risolutive nei conflitti.
D. – La Francia sta portando avanti
in Consiglio di sicurezza dell’Onu un’iniziativa per autorizzare un’indagine della
Corte penale internazionale sulle atrocità commesse in Siria. Ma Mosca potrebbe esercitare
il diritto di veto…
R. – Sì, certamente, potrebbe essere esercitato questo
diritto di veto. Una commissione di inchiesta potrebbe servire a identificare delle
responsabilità. Ma finché non fermiamo la guerra, credo che questo possa essere un
risultato modesto.
D. – Tra l’altro, in queste ore il mediatore Onu per la
Siria, Brahimi, ha annunciato di lasciare l’incarico. Che segnale è nel quadro dei
tentativi di riportare la pace nel Paese?
R. – Certamente, non è un segnale
tranquillizzante. Al momento, non si riesce ad arrivare a una soluzione di pacificazione.