Ucraina. Ministro degli Esteri tedesco a Kiev: sostenere dialogo nazionale per risolvere
crisi
Resta alta la tensione in Ucraina, dopo il successo del sì ai referendum per l’indipendenza
delle regione orientali di Donetsk e Lugagansk, mentre si è combattuto anche la scorsa
notte a Sloviansk, roccaforte dei separatisti filorussi. A complicare il quadro politico,
il presidente ucraino ad interim, Turcinov, ha minacciato di sciogliere il
partito comunista se dovessero emergere legami con i separatisti. Intanto a Kiev è
arrivato stamane il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier, che si è detto convinto
che le presidenziali del prossimo 25 maggio saranno fondamentali per risolvere la
crisi nell’ex Repubblica sovietica, auspicando la massima partecipazione al voto.
Ma quali scenari si prospettano? Roberta Gisotti ha intervistato Paolo Calzini,
docente di studi europei alla John Hopkins University di Bologna:
R. – La tensione
è alta indubbiamente. La mia impressione, però, è che non si vada, come dire, ad una
rottura completa, che porti come si temeva ad una guerra civile strisciante in Ucraina.
Le tensioni sono limitate a queste due regioni. Il fatto particolare è questo referendum,
ma va detto che un referendum non è rappresentativo del grosso della popolazione:
è rappresentativo della parte più radicale filorussa e nazionalista. Poi, questi referendum
sono avvenuti in condizioni di non trasparenza ed hanno un rilievo politico emblematico
più che reale.
D. – Anche lei è convinto, come il ministro degli Esteri tedesco,
che sarà fondamentale il prossimo voto presidenziale ucraino?
R. – Certo, la
consultazione elettorale è quella che può dare legittimità a questo Governo, che ricordiamolo
è salito al potere in una fase rivoluzionaria, in termini quindi non costituzionali.
Sotto questo profilo, dunque, è l’unico modo per garantire al governo di Kiev, che
si trova chiaramente in una condizione di difficoltà e di debolezza, un minimo di
legittimità. Resta da capire quanto, in queste condizioni, possa essere rappresentativo
il voto. Come voteranno, cioè, in queste regioni critiche al Governo di Kiev? Vi sarà
un boicottaggio? Ci saranno sì degli osservatori occidentali e dell’Osce ma bisogna
vedere quale affluenza si avrà a questo voto.
D. – L’Osce, che ha offerto la
sua mediazione, proprio stamani ha fatto sapere che Putin ha accettato questo suo
ruolo. Ma come si potrà svolgere?
R. – La posizione russa è ambigua e contraddittoria,
perché per un verso Putin non è interessato a consolidare il governo di Kiev, che
chiaramente è orientato in senso pro europeo, diciamo pure antirusso; d’altra parte,
da questi ultimi gesti fatti e dalle dichiarazioni di Putin, anche con questa mediazione
per il rilascio di quegli esponenti dell’Osce che erano stati fermati, indicano che
i russi non stiano mirando - sembra - ad un confronto drastico e quindi a far fallire
le elezioni, come si era pensato in un primo tempo. Ma staremo a vedere quali iniziative
prenderà la Russia, tenendo conto il fatto, in qualche modo nuovo, che questi nazionalisti
russi radicali, nelle due regioni che abbiamo indicato, che chiedono di annettersi
alla Russia, sembrino operare autonomamente al di fuori del controllo di Mosca.
D.
– Ma per la pacificazione dell’area che cosa è auspicabile? Un’Ucraina federata?
R.
– Penso di sì, anche se è difficile dire in che termini si possa fare un’Ucraina federata,
quali siano i limiti di una federazione e cioè quali siano le autonomie economiche,
politiche, ed anche nei rapporti internazionali. Perché il governo teme che una federalizzazione
troppo spinta, in effetti, faccia sì che queste regioni poi facciano anche una politica
estera a favore della Russia. In un Paese, però, ad "identità multiple" sia linguistiche
che etniche, come l’Ucraina, credo che una forma di decentramento del potere centrale,
e dar voce alle autonomie locali sia inevitabile.