"Stop alla Tortura": Amnesty lancia la campagna a 30 anni dalla Convenzione Onu
La tortura umilia l’uomo e lo priva di qualsiasi dignità, ma in oltre 140 Paesi del
mondo si fa ancora ricorso a questa grave violazione dei diritti umani. "Amnesty International"
ha lanciato la sua campagna globale “Stop alla tortura”, con l’obiettivo di sensibilizzare
cittadini e istituzioni, a trent’anni dall’adozione della Convenzione delle Nazioni
Unite contro questo aberrante fenomeno. Cosa è cambiato da allora? Gianmichele
Laino lo ha chiesto ad Antonio Marchesi, presidente di "Amnesty International
Italia":
R. – Purtroppo
è cambiato molto poco, nel senso che, trent’anni dopo, la tortura è presente, secondo
i dati di Amnesty relativi agli ultimi cinque anni, in ben 141 Paesi. Noi chiediamo
ora agli Stati di prendere sul serio quell’impegno.
D. – Perché il ricorso
alla tortura continua a essere così frequente?
R. – Gli scopi possono essere
diversi. Può esserci lo scopo classico di ottenere un’informazione, ma il più delle
volte è più genericamente punitivo, intimidatorio, discriminatorio. La tortura oggi
è finalizzata non tanto, e non solo, all’inflizione di dolore fisico, ma a distruggere
la personalità della vittima, a renderla un automa, uno strumento nelle mani del torturatore,
non più in grado di resistere, di farsi dei convincimenti autonomi. Quindi è uno strumento
del potere, del potere evidentemente usato nel modo peggiore possibile.
D.
– L’Italia è stata più volte sollecitata a inserire il reato di tortura nel codice
penale. Perché questi provvedimenti tardano ad arrivare?
R. – Le motivazioni
sono diverse. C’è chi ritiene che un reato specifico di tortura possa costituire una
forma di criminalizzazione delle forze di polizia. Evidentemente non è così. Sarebbe
anzi nell’interesse delle forze di polizia che i propri appartenenti, che violano
regole fondamentali, siano puniti, perché disonorano innanzitutto il corpo di cui
fanno parte. Noi crediamo che sia importante che la tortura sia specificamente prevista.
L’idea che esista nei fatti, ma che non venga menzionata nel codice penale, che sia
in qualche modo rimossa, sottovalutata, evidentemente è inaccettabile; alla fine,
infatti, porta facilmente a pene molto lievi per fatti che costituiscono tortura.
E questo non dà l’idea che le istituzioni siano impegnate a debellare questo fenomeno.
D.
– Quali sono le iniziative che "Amnesty International" ha lanciato nell’ambito della
sua campagna “Stop alla tortura”?
R. – E’ una campagna globale. Quindi, Amnesty
sarà impegnata in tutto il mondo per i prossimi due anni in questo sforzo. I suoi
oltre 3 milioni di attivisti firmeranno appelli, mobiliteranno l’opinione pubblica.
Poi ci saranno azioni di advocacy, di lobby nei confronti delle istituzioni,
perché siano riformate le leggi. Si vuole costruire anche una cultura dei diritti
umani, nell’ambito della quale la tortura sia inconcepibile come la schiavitù. La
campagna di "Amnesty International" riguarda un po’ tutto il mondo, il focus, però,
è sull’Uzbekistan, sul Messico, sulle Filippine, sul Marocco, sulla Nigeria. Sono
questi alcuni Paesi dove si ritiene che la situazione possa essere in qualche modo
modificata da un’azione efficace di "Amnesty International".