2014-05-13 15:04:07

"Stop alla Tortura": Amnesty lancia la campagna a 30 anni dalla Convenzione Onu


La tortura umilia l’uomo e lo priva di qualsiasi dignità, ma in oltre 140 Paesi del mondo si fa ancora ricorso a questa grave violazione dei diritti umani. "Amnesty International" ha lanciato la sua campagna globale “Stop alla tortura”, con l’obiettivo di sensibilizzare cittadini e istituzioni, a trent’anni dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro questo aberrante fenomeno. Cosa è cambiato da allora? Gianmichele Laino lo ha chiesto ad Antonio Marchesi, presidente di "Amnesty International Italia":RealAudioMP3

R. – Purtroppo è cambiato molto poco, nel senso che, trent’anni dopo, la tortura è presente, secondo i dati di Amnesty relativi agli ultimi cinque anni, in ben 141 Paesi. Noi chiediamo ora agli Stati di prendere sul serio quell’impegno.

D. – Perché il ricorso alla tortura continua a essere così frequente?

R. – Gli scopi possono essere diversi. Può esserci lo scopo classico di ottenere un’informazione, ma il più delle volte è più genericamente punitivo, intimidatorio, discriminatorio. La tortura oggi è finalizzata non tanto, e non solo, all’inflizione di dolore fisico, ma a distruggere la personalità della vittima, a renderla un automa, uno strumento nelle mani del torturatore, non più in grado di resistere, di farsi dei convincimenti autonomi. Quindi è uno strumento del potere, del potere evidentemente usato nel modo peggiore possibile.

D. – L’Italia è stata più volte sollecitata a inserire il reato di tortura nel codice penale. Perché questi provvedimenti tardano ad arrivare?

R. – Le motivazioni sono diverse. C’è chi ritiene che un reato specifico di tortura possa costituire una forma di criminalizzazione delle forze di polizia. Evidentemente non è così. Sarebbe anzi nell’interesse delle forze di polizia che i propri appartenenti, che violano regole fondamentali, siano puniti, perché disonorano innanzitutto il corpo di cui fanno parte. Noi crediamo che sia importante che la tortura sia specificamente prevista. L’idea che esista nei fatti, ma che non venga menzionata nel codice penale, che sia in qualche modo rimossa, sottovalutata, evidentemente è inaccettabile; alla fine, infatti, porta facilmente a pene molto lievi per fatti che costituiscono tortura. E questo non dà l’idea che le istituzioni siano impegnate a debellare questo fenomeno.

D. – Quali sono le iniziative che "Amnesty International" ha lanciato nell’ambito della sua campagna “Stop alla tortura”?

R. – E’ una campagna globale. Quindi, Amnesty sarà impegnata in tutto il mondo per i prossimi due anni in questo sforzo. I suoi oltre 3 milioni di attivisti firmeranno appelli, mobiliteranno l’opinione pubblica. Poi ci saranno azioni di advocacy, di lobby nei confronti delle istituzioni, perché siano riformate le leggi. Si vuole costruire anche una cultura dei diritti umani, nell’ambito della quale la tortura sia inconcepibile come la schiavitù. La campagna di "Amnesty International" riguarda un po’ tutto il mondo, il focus, però, è sull’Uzbekistan, sul Messico, sulle Filippine, sul Marocco, sulla Nigeria. Sono questi alcuni Paesi dove si ritiene che la situazione possa essere in qualche modo modificata da un’azione efficace di "Amnesty International".







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