Mons. Paglia a Philadelphia sullo sfondo del raduno delle famiglie 2015
Manca oltre un anno al prossimo raduno mondiale delle Famiglie, che nel settembre
2015 sarà ospitato a Philadelphia. Ma per l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente
del Pontificio Consiglio per la Famiglia, oggi e domani sono giorni di visita e di
incontri nella città statunitense, mentre giovedì prossimo la tappa del presule sarà
a New York, per un intervento alle Nazioni Unite a 20 anni dalla Giornata della Famiglia
indetta dall’Onu. Sulla visita a Philadelphia, le considerazioni di mons. Paglia al
microfono di Tiziana Campisi:
R. – Abbiamo
dovuto anzitutto iscrivere questo evento nel clima sinodale, quindi modulando anche
alcuni temi e soprattutto farne un momento nel quale le famiglie stesse riflettono
su alcune sfide importanti del momento contemporaneo.
D. – Come responsabile
del Pontificio Consiglio per la famiglia, quali obiettivi porterà perché vengano sviluppati
all’ottavo Incontro mondiale delle famiglie?
R. – Io penso che il Sinodo –
o meglio, questi due Sinodi sulla famiglia – debbano avere come conseguenza una sorta
di nuova primavera delle famiglie cristiane. E questo coinvolge, ovviamente, tutte
le parrocchie e in particolare tutti quei Movimenti e quelle Associazioni familiari
che debbono comprendere l'urgenza di una testimonianza della bellezza della famiglia
in un mondo nel quale la cultura, o le culture, sono ad essa ostili. Dobbiamo scrivere
la lettera della gioia delle famiglie o della famiglia, e questa lettera non è scritta
sulla carta, ma è scritta sulla vita dove è presente la comunità cristiana.
D.
– Quali istanze della famiglia, in questi mesi, sono state evidenziate ed è necessario
portare all’incontro mondiale?
R. – C’è un primo problema: far comprendere
che fare famiglia è una dimensione essenziale per la vita della Chiesa e anche della
stessa società. C’è un individualismo così forte che non solo sconvolge le famiglie
già realizzate, ma fa ritardare – o anche annullare – il desiderio di fare famiglia,
quindi di sposarsi, di fare dei figli e di innescare quella straordinaria fonte di
vita che crea storia, appunto, attraverso l’istituto della famiglia. E per quel che
riguarda i credenti, il fatto che Gesù abbia donato o abbia voluto donare una grazia
particolare agli spos, sta a dire non solo l’attenzione del Signore, ma anche l’aiuto
che Lui vuol dare alla famiglia cristiana per edificarsi. C’è poi tutta un’altra serie
di problemi, legati all’educazione: c’è una sorta di "iato", adesso, tra le diverse
generazioni, o comunque la fatica a vivere con ideali di solidarietà, di amicizia,
di amore, di donazione della vita che vanno assolutamente recuperati. C’è poi il problema
relativo alla questione degli anziani: che cosa diciamo ai 30 anni di anzianità che
oggi vengono donati dalla cultura, dalla vita, dalla medicina, dalla scienza? Che
fare? Come impegnarli? Come ripensarli? Poi, c’è tutto il problema del rapporto tra
famiglia e lavoro. C’è poi anche tutta la dimensione spirituale della vita della famiglia.
Non solo come trasmettere la fede, anzitutto come viverla. Ecco perché, allora, il
rarefarsi della preghiera nelle famiglie, il rarefarsi dell’ascolto del Vangelo nelle
famiglie, è una sfida importantissima da dover raccogliere.
D. – Lei ha sottolineato
la difficoltà, oggi, a metter su famiglia, e soprattutto la mancanza di volontà a
responsabilizzarsi in questo…
R. – Il matrimonio non è più concepito come l’impegno
a costruire un futuro assieme: c’è come una cultura di de-familiarizzazione o a-familiare,
che è pericolosissima per la stessa edificazione della società. Quando si costruisce
una famiglia, si ha la prima cellula della città e si ha una scuola per costruire
un popolo, una nazione, una cultura. In questo senso, più tardi questo accade e più
debole è la città.