India, elezioni. La destra di Modi prevale sul Congresso di Sonia Gandhi
Elezioni in India. Il leader della destra Narendra Modi, secondo i primi risultati,
ha scalzato dopo dieci anni lo storico partito del Congresso capeggiato da Sonia Gandhi
e dal figlio Rahul. La coalizione di destra guidata dal partito indu nazionalista
del "Bharatya Janata Party" (Bjp) avrebbe conquistato i 272 seggi necessari per formare
una maggioranza alla Camera bassa. I risultati ufficiali si sapranno solamente venerdì
prossimo. Il presidente Usa, Barack Obama, parla di consultazioni che sono “un vibrante
esempio di rispetto dei valori condivisi di libertà e diversità”. Record l’affluenza
alle urne, con il 66,38% degli oltre 800 milioni di aventi diritto al voto. Massimiliano
Menichetti ha intervistato l’esperto dell’area Marco Restelli, giornalista
e docente presso l’Università degli Studi di Milano:
R. – Narendra
Modi ha saputo intercettare alcune istanze popolari molto sentite: la rabbia diffusa
contro la corruzione dilagante, una preoccupazione diffusa nella piccola e media borghesia
che, dopo anni di tumultuoso boom, ha visto rallentare la crescita economica.
Le richieste di lavoro da parte dei giovani, le istanze nazionalistiche della grande
maggioranza degli indù, che ormai vedono l’India come una potenza planetaria al pari
della Cina e degli Stati Uniti d’America, e che non accettano di vedere diminuito
lo status dell’India. Lui si rivolge direttamente alla "pancia" del Paese, che è costituita
da un 80% di hindu, facendo leva anche sull’orgoglio di appartenenza culturale. Da
qui, però, i problemi che possono derivare dalla sua elezione a primo ministro, nel
senso che questa formazione politica da lui presieduta ha tollerato – e alcuni dicono
ha incoraggiato – in passato anche persecuzioni nei confronti delle minoranze religiose,
dei cristiani e dei musulmani in India.
D. – Questo rimane, però, un problema
grande, quello delle minoranze religiose: l’India ha visto situazioni-limite…
R.
– Ci sono stati molti episodi estremamente gravi, che si sono succeduti in questi
anni. Ricordiamoci gli attacchi alle chiese cristiane, le persecuzioni di musulmani…
Nello stesso Gujarat, governato da Modi, ci furono scontri violentissimi fra indù
e musulmani e un bagno di sangue di musulmani. Quindi, la posizione di Modi è molto
delicata: dovrà dimostrare, dopo avere suscitato l’entusiasmo delle piazze induiste,
di saper governare comunque tenendo al centro la laicità dello Stato e il rispetto
dei diritti delle minoranze religiose.
D. – Perché è crollato il Partito del
Congresso presieduto da Sonja Gandhi?
R. – Potrei dire perché non aveva più
un’anima. Del sogno, della visione dei Padri fondatori del Congresso – del Mahatma
Gandhi, di Jawaharlal Nehru, ma in qualche modo anche della figlia di Nehru, Indira,
che era una donna molto autoritaria ma aveva ancora una visione unitaria dell’India
– di quella visione non c’era più traccia. Negli ultimi 10 anni, il Partito del Congresso
è stato protagonista di una serie spaventosa di scandali per la corruzione del suo
personale politico. E’ stato privato di qualsiasi autorevolezza morale di fronte all’opinione
pubblica.
D. – Cosa cambierà, adesso, per quanto riguarda la questione dei
marò?
R. – Il caso marò è molto delicato, perché è stato strumentalizzato durante
la campagna elettorale, nel senso che Modi si è rivolto a Sonja Gandhi chiedendo:
“Perché i due marò non sono in galera?” – perché attualmente sono in ambasciata –
agitando quindi lo spauracchio della cosiddetta "simpatia" che Sonja Gandhi avrebbe
nei confronti dei marò, perché loro sono italiani e lei è di origine italiana. Che
cosa ne deriva? Ne deriva che ora Modi, anche in questo campo, è di fronte ad una
scelta: vorrà comportarsi da statista e riallacciare corrette relazioni diplomatiche
e quindi risolvere in modo corretto la questione dei marò, affidandoli alla giustizia
italiana, oppure vorrà fare il demagogo e continuare a dire: “In galera! In galera!”,
rovinando ulteriormente le relazioni diplomatiche Italia-India? Oppure, lo statista…