La Chiesa e le sfide del nostro tempo. Papa Francesco dialoga a 360° con sacerdoti
e seminaristi
Una straordinaria occasione per parlare a cuore aperto della Chiesa, del sacerdozio,
delle tentazioni e delle sfide dei consacrati. E’ quanto accaduto stamani – in Aula
Paolo VI – con l’incontro del Papa con gli alunni dei Pontifici Collegi e dei Convitti
di Roma. Francesco ha dialogato a lungo con seminaristi e sacerdoti, senza alcun testo
preparato. L’indirizzo d’omaggio al Pontefice è stato rivolto dal cardinale Beniamino
Stella. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Parlare da cuore
a cuore, liberamente, come fanno un padre e un figlio che si vogliono bene. E’ questa
la dimensione vissuta nell’incontro tra Papa Francesco e gli alunni dei Pontifici
Collegi e dei Convitti di Roma. Il Pontefice ha dialogato con seminaristi e sacerdoti
provenienti da tutto il mondo ed ha rivolto innanzitutto un pensiero speciale di vicinanza
per i cristiani dell’Ucraina e del Medio Oriente sottolineando che la Chiesa soffre
tanto anche oggi, in molte parti, a causa delle persecuzioni. Quindi, ha risposto
alla prima domanda sulla formazione sacerdotale. Il Papa ha messo in guardia dal “pericolo
dell’accademicismo” che fa sì che da Roma si torni in diocesi più come “laureati”
che come “presbiteri”:
“E se uno cade in questo pericolo dell’accademicismo,
torna non il padre ‘tale’ o ‘quale’, ma il ‘dottore’, no? E questo è pericoloso. [applauso]
Ci sono quattro pilastri nella formazione sacerdotale: questo l’ho detto tante volte,
forse voi lo avete sentito. Quattro pilastri: la formazione spirituale, la formazione
accademica, la formazione comunitaria e la formazione apostolica”.
A Roma,
ha osservato, si viene per la formazione intellettuale, ma non si può capire un prete
che non abbia una vita comunitaria, una vita spirituale e apostolica. “Il purismo
accademico – ha ammonito – non fa bene”. Il Signore, ha soggiunto, “vi ha chiamati
ad essere sacerdoti, ad essere presbiteri: questa è la regola fondamentale”:
“Se
soltanto si vede la parte accademica, c’è pericolo di scivolare sulle ideologie, e
questo ammala. Anche ammala la concezione di Chiesa. Per capire la Chiesa c’è bisogno
di capirla dallo studio ma anche dalla preghiera, dalla vita comunitaria e dalla vita
apostolica. Quando noi scivoliamo su una ideologia, perché siamo macrocefali, per
esempio, e andiamo su quella strada, avremo una ermeneutica non cristiana, un’ermeneutica
della Chiesa ideologica. E questo fa male, questa è una malattia”.
L’ermeneutica
della Chiesa, ha ribadito, “dev’essere l’ermeneutica che la Chiesa stessa ci offre,
che la Chiesa stessa ci dà”. Bisogna capire “la Chiesa con occhi di cristiano”. Al
contrario, ha ravvisato, “la Chiesa non si capisce, o finisce mal capita”. E’ stata,
dunque, rivolta al Papa una domanda su come il Seminario possa diventare una comunità
di crescita umana e spirituale. Una volta, ha rammentato, un vecchio vescovo dell’America
Latina diceva che “è molto meglio il peggiore seminario che il non-seminario”. Il
Papa ha quindi sottolineato che “la vita del seminario, cioè la vita comunitaria,
è molto importante. E’ molto importante perché c’è la condivisione tra i fratelli”.
E’ vero, ha constatato, che “ci sono i problemi, ci sono le lotte: lotte di potere,
lotte di idee, anche lotte nascoste; e vengono i vizi capitali: l’invidia, la gelosia”.
“La vita comunitaria – ha detto con ironia – non è il paradiso: almeno, il purgatorio”.
E ha ricordato che un santo gesuita "diceva che la maggiore penitenza, per lui, era
la vita comunitaria”:
“Ma per questo credo che dobbiamo andare avanti, nella
vita comunitaria. Ma come? Son quattro-cinque cose che ci aiuteranno tanto: mai, mai
sparlare di altri! Se io ho qualcosa contro l’altro o che non sono del parere: in
faccia! Ma noi, i chierici, abbiamo la tentazione di non parlare in faccia, di essere
troppo diplomatici, quel linguaggio clericale, così … Ma ci fa male! Ci fa male! [applauso]”.
Francesco
ha rammentato che, 22 anni fa appena nominato vescovo, aveva avuto un confronto molto
forte con un suo segretario, un sacerdote giovane da poco ordinato. “Molto rispettoso,
ma me le ha dette”. E poi, ha aggiunto, ho pensato: “Questo non lo allontanerò mai
dal posto di segretario: questo è un vero fratello!”.
“Invece, quelli che
ti dicono le cose belle davanti e poi da dietro non tanto belle … [ridono] E’ importante,
quello, ma … [applauso] le chiacchiere sono la peste di una comunità: si parla in
faccia, sempre. E se non hai il coraggio di parlare in faccia, parla al superiore
o al direttore ... che lui ti aiuterà. Ma non andare per le stanze dei compagni per
sparlare! Ma, si dice che chiacchierare è cosa di donne: ma anche di maschi, anche
di noi! Noi chiacchieriamo abbastanza! E quello distrugge la comunità”.
Un’altra
cosa, ha proseguito il Papa, “è sentire, ascoltare le diverse opinioni e discutere
le opinioni”, “cercando la verità, cercando l’unità: questo aiuta la comunità”. Ancora,
Francesco ha ricordato che il suo padre spirituale lo aveva esortato a pregare per
una persona verso il quale era arrabbiato. Pregare, “niente di più”. Ed ha rimarcato
l’importanza della “preghiera comunitaria”. Vi assicuro, ha detto, che “se voi fate
queste due cose, la comunità va avanti, si può vivere bene, si può parlare bene, si
può discutere bene, si può pregare bene insieme”: “non sparlare degli altri e pregare
per quelli con i quali io ho problemi”.
E’ stata dunque la volta di una domanda
su “discernimento, vigilanza e disciplina personale” di un consacrato. Il Papa ha
detto che la vigilanza è un atteggiamento cristiano. E’ importante chiedersi “cosa
succede nel mio cuore”, perché “dove è il mio cuore è il mio tesoro”. Il primo consiglio,
ha detto, “quando il cuore è in turbolenza”, è il consiglio dei monaci russi: “Andare
sotto il manto della Santa Madre di Dio”, affidarsi alla Madonna:
“Qualcuno
di voi mi dirà: 'Ma Padre, in questo tempo di tanta modernità buona, della psichiatria,
della psicologia, in questi momento di turbolenza credo che sarebbe meglio andare
dallo psichiatra che mi aiuti …'. Ma non scarto quello, ma prima di tutto andare alla
Madre: perché un prete che si dimentica della Madre e soprattutto nei momenti di turbolenza,
qualcosa gli manca”.
Questo, ha detto, “è un prete orfano: si è dimenticato
della sua mamma!”. Vigilare, ha proseguito, “non è andare alla sala di tortura”, è
“guardare il cuore. Noi dobbiamo essere padroni del nostro cuore”. Ed ha rinnovato
l’esortazione, valida per tutti – preti e vescovi – di finire la giornata davanti
al tabernacolo, davanti al Signore. Il Papa ha voluto ritornare dunque a parlare della
Vergine Maria: “Il rapporto con la Madonna – ha detto - ci aiuta ad avere un bel rapporto
con la Chiesa: tutte e due sono Madri” e“se non si ha un bel rapporto con
la Madonna” allora si è orfani nel cuore. Ed ha raccontato di un suo dialogo, avvenuto
30 anni fa, con due professori e catechisti che si vantavano di “aver superato la
tappa della Madonna” per credere in Gesù Cristo:
“Io sono rimasto un po’
addolorato, non ho capito molto. Ne abbiamo parlato un po’, su questo. E questa non
è maturità, non è maturità! Dimenticare la madre è una cosa brutta … E, per dirlo
in un’altra maniera: se tu non vuoi la Madonna come Madre, sicuro che l’avrai come
suocera, eh? [ridono] E quello non è buono". [applauso]
Quindi, il Papa
ha risposto ad una domanda sulla leadership dei pastori. “C’è una sola strada” per
raggiungere questo, ha detto: “il servizio”. E se non si serve, “la leadership cadrà”:
“E’
vero: quando non c’è il servizio, tu non puoi guidare un popolo. Il servizio del pastore
... Il pastore deve essere sempre a disposizione del suo popolo. Il pastore deve aiutare
il popolo a crescere, a camminare”.
Il pastore, ha detto ancora, “fa crescere
il suo popolo” e “va sempre con il suo popolo”. Ha ripreso dunque il De Pastoribus
di S. Agostino per denunciare due peccati dei pastori. I “pastori affaristi” e
i pastori che si credono superiori al loro popolo, “i pastori-principi”. Il Papa ha
riconosciuto che “è tanto difficile togliere la vanità da un prete”. Il “Popolo di
Dio – ha detto – ti perdona tante cose”:
“Ma non ti perdona se sei un pastore
attaccato ai soldi, se sei un pastore vanitoso che non tratta bene la gente: perché
il vanitoso non tratta bene la gente. Soldi, vanità e orgoglio: i tre scalini che
ci portano a tutti i peccati. Ma il popolo di Dio capisce le nostre debolezze, e le
perdona; ma queste due, non le perdona L’attaccamento ai soldi non lo perdona nel
pastore. E non trattare bene loro, non lo perdona”.
Il Papa non ha mancato
di confidare un po’ dello “schema” della sua vita, scandita da preghiera e lavoro.
L’ideale, ha detto, è finire la giornata stanchi per le cose fatte. Quindi, è stato
interpellato sulla "nuova evangelizzazione", formula utilizzata per la prima volta
da San Giovanni Paolo II e che si ritrova fortemente presente nella Conferenza di
Aparecida:
“Per me l’evangelizzazione suppone uscire da se stesso; suppone
la dimensione del trascendente: il trascendente nell’adorazione di Dio, nella contemplazione
e il trascendente verso i fratelli, verso la gente. Uscire da, uscire da! Per me questo
è come il nocciolo dell’evangelizzazione. Ed uscire significa arrivare a, cioè vicinanza.
Se tu non esci da te stesso, mai avrai vicinanza! Vicinanza”.
“Essere
vicino alla gente – ha ripreso – essere vicino a tutti”, perché “non si può evangelizzare
senza vicinanza”. Una vicinanza “cordiale”, “d’amore, anche vicinanza fisica”. Il
Papa è tornato anche a riflettere sulle omelie che, ha detto, sono “noiose” se “non
c’è vicinanza”. Proprio nell’omelia, ha detto, “si misura la vicinanza del pastore
col suo popolo”. Se uno parla 20, 30 perfino 40 minuti nell’omelia, ha osservato parla
"di cose astratte, di verità della fede, ma tu non fai un’omelia, fai scuola” e “non
sei vicino alla gente”. Le omelie - ha detto - non sono "conferenze", devono essere
“un’altra cosa”: “Suppone preghiera, suppone studio, suppone conoscere le persone
cui tu parlerai, suppone vicinanza”. Sull’omelia, nell’evangelizzazione, “dobbiamo
andare avanti abbastanza”, perché “siamo in ritardo”, “aggiustare bene le omelie,
perché la gente capisca”. E ai futuri sacerdoti consiglia un’omelia breve e forte,
8-10 minuti, perché poi “l’attenzione se ne va”.
L’ultima domanda si è concentrata
su come seguire il modello del Buon Pastore. Il Papa ha detto che, innanzitutto,
si deve pregare. Fondamentale è poi “la capacità di incontrarsi”, “la capacità di
sentire, di ascolto delle altre persone”, “la capacità di cercare insieme la strada”:
“E significa anche non spaventarsi, non spaventarsi delle cose. Il Buon
Pastore non deve spaventarsi. Forse ha timore dentro, ma non si spaventa mai. Sa che
il Signore lo aiuta. L’incontro con le persone per cui tu devi avere cura pastorale,
l’incontro con il tuo vescovo. E’ importante l’incontro con il vescovo. E’ importante
anche che il vescovo si lasci incontrare”.
Francesco non ha mancato di
mettere l'accento sull’amicizia sacerdotale. Questo, ha affermato, è "un tesoro che
si deve coltivare fra voi”:
“Ma che bella è un’amicizia sacerdotale, quando
i preti, come due fratelli, tre fratelli, quattro fratelli, si conoscono, parlano
dei loro problemi, delle loro gioie, delle loro aspettative ... Amicizia sacerdotale.
Cercate questo, è importante. Essere amici…amici. Credo che questo aiuti abbastanza
a vivere la vita sacerdotale, a vivere la vita spirituale, la vita apostolica, la
vita comunitaria e anche la vita intellettuale: l’amicizia sacerdotale”.
“Auguro
a voi – ha concluso il Papa – di essere amici con quelli che il Signore ti mette avanti
per l’amicizia”, “l’amicizia sacerdotale è una forza di perseveranza, di gioia apostolica,
di coraggio, anche di senso dell’umorismo”.