Expò. Zamagni: corruzione frena lo sviluppo, rigenerare circolo virtuoso
Arresti, scandali e tangenti agitano ormai da giorni l'organizzazione dell'Expò 2015
di Milano, riproponendo uno scenario da Tangentopoli. Un sistema di corruzione che
sembra rigenerarsi a ogni occasione e che, afferma l'economista Stefano Zamagni,
è da anni una "forza frenante" dell'Italia. Emanuela Campanile lo ha intervistato:
R. - Qui stiamo
parlando di una corruzione organizzata e cioè di un sistema. E questo vuol dire che
la corruzione è quello che gli antichi greci chiamavano il khatekon, che vuol
dire una "forza frenante", frenante il processo di sviluppo. Perché Milano negli ultimi
decenni è calata rispetto alle fasi precedenti? Perché l’attività di corruzione erode:
non produce disastri solo per l’Expo, crea una mentalità che non è certamente favorevole
allo sviluppo. La domanda allora diventa: come mai? Ovviamente, ci sono diverse chiavi
di lettura. La mia, quella che più preferisco, è questa: tutto questo è successo a
Milano, quando Milano ha cessate di essere una città industriale. Chi conosce la storia
dell’industria sa che è difficile che nelle industrie ci sia corruzione. Quando Milano
è diventata la capitale della finanza, soprattutto della finanza speculativa, e di
certe forme di attività di terziario avanzato, è ovvio che questo ha fatto crollare
il nesso, cioè il simbolo, ciò che tiene unita la società civile. E quando viene meno
il cemento che tiene unita la società civile, è molto facile - come appunto la storia
ci insegna nel caso di Milano, ma anche in tanti altri casi - che i fenomeni di corruzione
prendano il sopravvento. Ecco perché allora non basta perfezionare le leggi sulle
gare d’appalto. Questa è una sciocchezza! Bisogna andare al fondamento: bisogna ricostituire
quel capitale sociale, cioè i legami di fiducia tra i cittadini, che impedisce che
fenomeni del genere abbiano poi luogo.
D. - Prof. Zamagni, secondo lei, l’Expo
2015 è compromesso ormai anche agli occhi del resto del mondo?
R. - No, non
direi, assolutamente no. E’ chiaro che la nostra capacità di rigenerarci è notevole
e quindi lo faremo. Io non ho questa preoccupazione. La mia preoccupazione è che in
Italia si cambi registro. Ma è mai possibile che in questo Paese se uno fa un atto
virtuoso neppure lo si menziona e se uno fa un atto di questo tipo per giorni e giorni
i mass media ne parlano? Questa è una ingiustizia. Dobbiamo chiamare le cose con il
loro nome: la virtù - diceva Aristotele - è più contagiosa del vizio. Se io voglio
sconfiggere la corruzione devo fare in modo che la critica ai corrotti e ai corruttori
venga in primis dalla società civile, che deve mettere nei confronti di costoro
come un filtro, una operazione. E poi i sistemi legali… Dobbiamo convincerci che la
deterrenza e le leggi non sono sufficienti.
D. - Teniamo presente che c’è anche
un prezzo economico, che viene pagato…
R. - E’ evidente, perché la corruzione
distrugge la cosiddetta competizione di mercato e favorisce certamente non i virtuosi.
Quindi, siamo in una situazione in cui un’impresa virtuosa - e ce ne sono, grazie
a Dio, di queste imprese nel nostro Paese - pagano lo scotto di dover, loro che sono
virtuose, perdere quote di mercato e quindi livelli di profitto per colpa di questi.
Ed è questo un punto che i sistemi legali di deterrenza non servono, perché i giudici
andranno a pizzicare e a sanzionare coloro che hanno compiuto. Ma il danno indiretto,
che questi comportamenti vanno a determinare, certamente il sistema legale - perché
questo non lo può fare - non può tenerne conto.