Immigrazione: fra tragedie e polemiche l'impegno di chi salva i profughi
A poche ore dalla tragedia nel Mare Egeo, dove ieri decine di migranti sono annegati
nel tentativo di raggiungere l’isola greca di Samos, a Trapani oggi sono state condotte
le centinaia di persone soccorse due giorni fa a sud di Lampedusa, la metà di loro
verrà trasferita in strutture del nord Italia. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Saranno ospitati
dal Piemonte, dalla Liguria e forse anche da Roma: in 500 circa saranno trasferiti
al nord, perché ormai le strutture del trapanese sono sature. In totale, a essere
soccorsi a 120 miglia a sud di Lampedusa sono stati 887 migranti, tra loro 195 minori
e 145 donne, e ancora una volta un arrivo di questo genere ha suscitato le polemiche
di chi, come i ministri Alfano e Mogherini, sollecita l’Europa a condividere gli sforzi
dell’Italia nel salvare le vite e accoglierle, e di chi – con la Lega in prima linea
– chiede di interrompere l’operazione “Mare Nostrum” e di reintrodurre il reato di
immigrazione clandestina. Critiche che però si perdono prima di arrivare a Lampedusa.
“Da qui – ci dice Giuseppe Cannarile, tenente di vascello, comandante della
Guardia costiera di Lampedusa – si guarda al profondo sud, e le polemiche arrivano
poco”. Cannarile, sull’isola da circa tre anni, è stato uno dei testimoni della tragedia
del 3 ottobre scorso, con la morte di oltre 300 migranti, ed è tra i protagonisti
dei quotidiani soccorsi che impegnano le parti coinvolte nell’operazione "Mare Nostrum":
R.
– C’è una serie numerosa di condizioni che garantiscono il fatto che ogni soccorso
sia diverso dall’altro. E questo perché le condizioni dei migranti non sono le stesse.
Certe volte ci sono più donne che uomini, ci sono criticità mediche da affrontare
– donne incinte, bambini di diverse età – e c’è poi la fatiscenza degli scafi con
cui navigano. Ci troviamo di fronte, ogni volta, a un problema nuovo, straordinario
da affrontare. Ad esempio, scafi con vie d’acqua già aperte e che stanno per affondare.
Ecco, quindi, l’immediatezza del soccorso, delle azioni programmate, decise e veloci,
per affrontarlo. In alcuni casi, ci troviamo di fronte a ustioni chimiche che non
permettono il facile trasbordo dei migranti dal natante alle nostre motovedette. Quindi,
c’è un lavoro di squadra per poter salvare queste persone e ogni volta ha una sua
eccezionalità.
D. – Bisogna avere freddezza, fondamentale per essere tempestivi,
mentre l’emozione in cosa vi aiuta?
R. – L’emozione è la pacca sulla spalla
che ci dà la possibilità di andare avanti e sempre con maggiore forza e spirito di
sacrificio. Io credo che già nella vita di ciascuno di noi raccontare di aver salvato
anche una sola vita umana è già motivo di orgoglio. I miei uomini raccontano di averne
salvate 20 mila, 30 mila, anche 60 mila nel corso di 10 anni di attività… Questa è
la grande pacca sulla spalla che ci fa andare avanti. Credo che non esista gioia maggiore!
A
bordo di ogni motovedetta della Guardia costiera, della Guardia di finanza o delle
navi militari impegnate nel soccorso vi sono i volontari del Cisom, il Corpo italiano
di soccorso dell’Ordine di Malta. Si tratta di un medico e di un infermiere che prestano
la prima assistenza sanitaria ai migranti. Direttore nazionale del Cisom è Mauro
Casinghini:
R. – Le emergenze sono sostanzialmente sempre le stesse. Dal
punto di vista sanitario, gli interventi che facciamo a bordo delle unità navali della
Guardia costiera e della Guardia di finanza sono quelle relative a un viaggio infernale
che queste persone compiono, nel loro tratto finale per mare, iniziando però da terra.
La parte di mare evidenzia grandi patologie da ustione da idrocarburi e tutto ciò
che accade poi durante la traversata. Il nostro ruolo fondamentale è quello di dare
solidarietà: significa un intervento sanitario, ma significa pure un intervento psicologico
anche se non portato da psicologi, teso comunque a tranquillizzare la persona che
viene soccorsa, e ovviamente, nei casi estremi, è anche un ruolo salvavita.
D.
– L’aspetto umano è sollecitato ogni secondo che voi trascorrete in questa situazione.
Dal punto di vista strettamente personale, cosa significa?
R. – Significa dare
veramente un senso alla propria vita, perché noi siamo i privilegiati testimoni del
primo contatto con queste persone. Significa, quindi, percepire le loro speranze,
percepire le loro angosce e anche vedere in faccia ciò che hanno provato, ciò che
stanno per provare. E’ veramente qualcosa di particolare, specialmente quando si pensa
a quello hanno vissuto nei loro Paesi di origine e a ciò che hanno vissuto nel loro
viaggio, che parte da centinaia e centinaia di chilometri a sud della Libia e che
poi si trasforma in drammi di ogni tipo, fino a vere e proprie violenze.
D.
– Il Cisom svolge il suo lavoro, grazie alla collaborazione di tanti altri attori,
pensiamo alla Guardia di finanza, pensiamo alla Guardia costiera... Un lavoro importante
che spesso passa sotto silenzio, perché ciò che viene esaltata è la paura nei confronti
di questi arrivi. Qual è il messaggio che occorrerebbe ripetere costantemente alla
popolazione italiana?
R. – Questo è un grande lavoro di squadra, di sistema,
che va – per quanto ci riguarda – dalla collaborazione con la Guardia costiera, con
la Guardia di finanza, con la Marina militare, ma anche con chi si occupa degli aspetti
sanitari – immaginiamo la sanità sull’isola di Lampedusa – o della sicurezza, Polizia
e Carabinieri. Sicuramente, questo problema andrebbe visto con un’ottica molto più
ampia e lungimirante, piuttosto che sfruttarlo semplicemente da un punto di vista
politico o elettorale. E’ un problema che ha una sua coerenza e continuità e che –
se elaborato su un piano politico vero, di largo respiro, di lungo periodo, insieme
ovviamente con l’Unione Europea, che deve essere attore principale in questo senso
– può dare risultati veramente inaspettati, al di là di ogni polemica, che rimane
una polemica sterile. Queste attività sono essenzialmente tese alla salvaguardia della
vita umana, che è un principio basilare, irrinunciabile, su cui l’Italia fonda anche
la sua cultura di accoglienza e di soccorso. Non possiamo pensare che tutto ciò sia
estrapolato solo in numeri che vengono letti come un’invasione. Letti invece in un’ottica
di sistema e lavorando su quelle che sono le criticità vere, noi riusciremmo a leggere
questo dramma per quello che realmente è, dando a questa gente l’aiuto che merita.
La maggior parte di queste persone, infatti, ha sostanzialmente il diritto di richiedere
protezione internazionale. Lavorare, dunque, su questo e accelerare i tempi di richiesta,
dando loro una possibilità di raggiungere i propri congiunti, in tutta Europa, laddove
vogliono andare, è sicuramente una chiave di lettura che, secondo me, è vincente.