Mons. Tomasi: Convenzione contro la tortura, difendere libertà e dignità dell'uomo
Durante la 52.ma sessione del Comitato delle Nazioni Unite sulla Convenzione contro
la tortura (CAT), in corso a Ginevra, la Santa Sede presenterà il 5 e 6 maggio prossimi
il suo rapporto. Il 23 maggio il Comitato pubblicherà le "Osservazioni conclusive".
A guidare la delegazione vaticana sarà l’osservatore permanente della Santa Sede presso
l’Onu a Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi, che sarà accompagnato da mons. Christophe
El-Kassis, dal prof. Vincenzo Buonomo e da mons. Richard Gyhra. Gabriele Beltrami
ha intervistato mons. Silvano Maria Tomasi:
D. - La Santa Sede ha aderito
a questa particolare Convenzione unicamente per conto della Città del Vaticano: come
porsi di fronte alle inevitabili obiezioni/accuse che invece proveranno a portare
il discorso sul piano più generale della Chiesa Cattolica?
R. - La responsabilità
della Santa Sede si esercita in due modi diversi. Il primo è attraverso la competenza
esclusiva giuridico-legale che la Santa Sede ha sul territorio dello Stato della Città
del Vaticano (SCV) e che esercita come ogni altro Governo. Il secondo modo di esercitare
la sua competenza è di carattere spirituale con una forma di autorità che si basa
sulla missione specifica della Chiesa e coinvolge l’adesione volontaria dei fedeli
ai principi della fede cattolica. Gli Stati mantengono la giurisdizione propria ed
esclusiva sui rispettivi cittadini di fede cattolica, per esempio nel caso questi
commettano dei crimini. Per molti diventa difficile capire che l’esercizio dell’autorità
spirituale è diverso per mezzi e principi dall’esercizio del potere politico e giudiziario.
Siccome il Papa ha autorità su tutta la Chiesa si pensa che possa decidere sui comportamenti
e quindi sulle punizioni che membri della Chiesa potrebbero meritare. Il potere delle
chiavi non è come il potere del mondo. I membri della Chiesa dispersi in tutto il
mondo - sacerdoti vescovi, e fedeli laici - non sono cittadini della Città del Vaticano,
ma cittadini dei Paesi in cui vivono, per cui hanno gli stessi diritti e doveri.
D.
- Il 5 febbraio scorso la Santa Sede ha ricevuto con stupore il rapporto sul Vaticano
stilato dalla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dei minori a Ginevra:
un “duro atto di accusa” sulla pedofilia che, secondo lei, sembrava scritto già prima
del suo intervento nel mese di gennaio 2014. Crede che quel tipo di lettura più che
parziale della Chiesa Cattolica possa ancora pesare sulla ricezione del vostro rapporto?
R.
- Il 5 e il 6 Maggio prossimi la Santa Sede presenterà il suo Rapporto alla 52.ma
sessione degli esperti del Comitato, come stanno facendo altri sette Stati. Si tratta
di una normale procedura adottata per una migliore applicazione della Convenzione.
Tuttavia da un breve esame delle "Osservazioni conclusive" presentate dal Comitato
della CAT ai Rapporti di altri Stati, negli ultimi due anni, emergono una serie di
temi che sono soltanto indirettamente collegati, attraverso un'attività interpretativa
estremamente estensiva, al testo e agli intenti della CAT . Per esempio, introdurre
nella CAT la discussione sull'abuso sessuale dei bambini, già disciplinato dalla Convenzione
sui Diritti del Fanciullo (CRC), risulta ridondante. Questo è particolarmente vero
in quanto il testo originale e il suo significato non includono termini relativi a
questo crimine. Letture diverse della Convenzione sono molto possibili. Nel contesto
internazionale delle Nazioni Unite e della cultura pubblica internazionale ci troviamo
su due fronti diversi a riguardo di alcuni valori fondamentali che dovrebbero reggere
la convivenza sociale, per esempio la difesa del diritto alla vita e l’attenzione
ai gruppi più vulnerabili della società. Su questo punto in particolare il contrasto
di due culture diverse è evidente. Non c’è dubbio che i bambini lasciati morire soffrono
una forma chiara di tortura. Per esempio, in Canada tra il 2000 e il 2011, 622 bambini
nati vivi dopo un aborto sono stati lasciati morire come pure 66 nel Regno Unito nel
2005. Alcuni metodi di aborto ritardato costituiscono pure tortura specialmente nel
caso detto “dilatation and evacuation”: il feto ancora vivo è smembrato per essere
tirato fuori a pezzi dall’utero. Evidentemente come Santa Sede sosterremo quella visione
della persona umana che deriva dalla nostra tradizione cristiana e dal suo realismo
legato al diritto naturale.
D. - La Santa Sede ha aderito alla Convenzione
contro la Tortura il 22 giugno 2002, ma la relazione iniziale viene presentata solo
ora nel 2014, ad oltre dieci anni dalla firma del trattato: a che si deve tanto ritardo?
R. - La Santa Sede partecipa nella vita internazionale in maniera attiva.
Porta il suo contributo come voce della coscienza. Non ha grandi poteri e interessi
commerciali e militari, ma vuole difendere l’uomo e i valori fondamentali che sostengono
la sua dignità: libertà di credo e libertà di opinione, diritto alla solidarietà,
lotta contro la povertà e gli abusi di potere. Per questo ha firmato e ratificato
la Convenzione contro la Tortura. L’ha fatto per lo Stato della Città del Vaticano
come segno soprattutto del rigetto di ogni forma di violenza che umilia la persona
umana. Il ritardo nel preparare il rapporto dovuto al Comitato della Convenzione è
in parte comprensibile, perché non è un mistero che la Santa Sede continui a difendere
i principi e il modo di agire che la Convenzione sancisce. Comunque ora la Santa Sede
adempie questo suo obbligo e non solo in maniera formale, ma come incontro costruttivo
con gli esperti del Comitato per promuovere ulteriormente il messaggio della Convenzione,
che storicamente fu negoziata nel ricordo degli orrori della Seconda guerra Mondiale
e nel desiderio di proteggere persone detenute da metodi di interrogazione e forme
di trattamento che violano ogni forma di dignità e libertà.