2014-05-03 14:39:36

Lecce. Al Festival del Cinema europeo ricordati i 50 anni del Gesù di Pasolini


Il Festival del Cinema europeo di Lecce, che si chiude oggi, ha voluto ricordare i cinquant’anni dell’uscita sugli schermi de “Il Vangelo secondo Matteo”, il film di Pier Paolo Pasolini considerato la più fedele riproposizione cinematografica del testo sacro, in cui emergono i tratti della dolcezza e della mitezza di Cristo, un capolavoro della storia del cinema apprezzato dalla critica cattolica, in un periodo di grande fervore spirituale nella Chiesa. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

Tra i sassi di Matera e le brulle pendici della Lucania, muovendosi tra attori presi dal popolo e seguito dal pianto di Maria affidata al volto dell’amatissima madre, accompagnato dalle possenti note di Bach e di Mozart, il Gesù di Pier Paolo Pasolini arrivò sugli schermi dopo grande attesa tra i cattolici. Fu un applauso unanime perché gli venne riconosciuto l’assoluto rigore estetico e la sincerità con la quale, pur dichiaratamente non cattolico e non credente, aveva affrontato il mistero di Cristo, della morte, del dolore e quelle che lui riteneva le idee “rivoluzionarie” del Vangelo: la carità verso il prossimo, il disprezzo per il denaro e il potere, l’attenzione ai poveri, ai deboli, agli ultimi. Con stupore gli spettatori d’allora lessero la dedica che Pasolini volle fare del suo film a Papa Roncalli, oggi Santo. Padre Virgilio Fantuzzi, critico esperto del cinema italiano e saggista della Civiltà Cattolica, ne ricorda i motivi:

“Prima di tutto, tutti sanno - perché Pasolini lo ha detto e ripetuto - l’idea di fare questo film gli è venuta mentre si trovava ad Assisi ospite della Pro Civitate Christiana il 2 ottobre del ’62 e stranamente nel momento in cui lui si trovava lì e leggeva il Vangelo e gli veniva l’idea di fare questo film, Papa Giovanni arrivava in città per pregare sulla tomba del Poverello impetrando la sua intercessione per la buona riuscita del Concilio. Oltre a questo motivo così occasionale, ce n’è un altro forse un po' più profondo ed è che qualche mese dopo quando l’impresa del film non era ancora partita ma si annunciava, don Giovanni Rossi ha avuto un colloquio con Papa Giovanni e al termine del colloquio gli ha accennato anche a questa iniziativa che il Papa ha benedetto”.

Sono passati cinquant’anni da quel 1964: il film di Pasolini che cosa dice ancora oggi ai credenti, in cosa è ancora attuale?

“Sono passati cinquant’anni durante i quali il cinema non ha mai cessato di interessarsi alla figura di Gesù come lo aveva fatto nei cinquant’anni precedenti e fra tutti i film fatti su Gesù quello di Pasolini è l’unico dove Gesù parla esattamente con le parole che sono scritte nel Vangelo, negli altri film non si sa perché sono delle parafrasi, delle contaminazioni, delle estrapolazioni, cose così… Perché Gesù deve usare delle parole di fantasia quando le parole che ha pronunciato Lui sono scolpite nella pietra e sono eterne?”.

Una terra arida e una grande coralità di volti e di voci caratterizzano l’ambiente nel quale Gesù, interpretato da Enrique Irazoqui, si muove e predica. Questa essenzialità è un tratto tipico del film di Pasolini?

“Sì, forse è l’aspetto più personale, nel senso di pasoliniano del film, soprattutto direi una serie di volti autentici di contadini come c’erano cinquant’anni fa e adesso dire che non ce ne sono nemmeno più, è quasi un documentario su una categoria di persone che ha lavorato la terra ed è un popolo cristiano questo qui e può sembrare strano che Gesù interloquisca con dei cristiani. Ma Pasolini diceva di non aver voluto fare la storia di Gesù come si è svolta duemila anni fa, ma di aver voluto fare la storia di Gesù più duemila anni di vita cristiana del popolo che ha creduto in Gesù e ha seguito le sue orme”.

A parte questo e l’autenticità del linguaggio, che cosa dunque caratterizza il Vangelo secondo Matteo di Pasolini come un film unico nella storia del genere religioso?

“E’ lo stile di Pasolini. Uno stile cinematografico inventato ad hoc per questo film, che è il cinema di poesia. Pasolini non era un cineasta nato, era un poeta e un letterato che poi era passato al cinema e in questo caso nel cinema si è comportato come un poeta che scrive versi”.







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