Decreto lavoro, il prof. Pessi: formazione e apprendistato elementi cruciali
Sono il lavoro e le misure per incentivare l’occupazione gli obiettivi indicati dal
governo. E sono 8 gli emendamenti, frutto della mediazione tra i partiti della maggioranza,
che andranno a modificare il testo base del decreto legge sul lavoro uscito dalla
Camera. Prevista, in particolare, la rimozione dell’obbligo di assunzione per le aziende
che non rispettano il tetto di contratti precari. Critiche dai sindacati: per il segretario
generale della Cgil, Susanna Camusso, si “continua a sancire la strada della precarietà”.
Amedeo Lomonaco ha raccolto il commento del prof. Roberto Pessi, docente
ordinario di Diritto del Lavoro alla Luiss:
R. - Complessivamente
mi sembra che sia un decreto che tiene conto del momento difficile dell’occupazione
e interviene cercando di introdurre alcune misure che possano facilitare le assunzioni
e anche le stabilizzazioni di una parte dei rapporti di lavoro in essere.
D.
- La modifica più significativa riguarda le aziende che non rispettano il tetto del
20 percento per il numero dei contratti a tempo determinato. Non è più previsto, in
questo caso, l’obbligo ad assumere a tempo indeterminato, ma si applica una sanzione
amministrativa.
R. - È chiaramente una scelta legata al momento. È chiaro che
il timore della stabilizzazione del rapporto, spesso, porta le imprese a non utilizzare
l’istituto. Invece, il superamento di questo timore attraverso una sanzione economica
diminuisce la preoccupazione di instaurare rapporti di questo tipo e quindi, in questa
fase, si tratta di sano pragmatismo; poi non è detto che questo sia un intervento
che diventi stabile e strutturale per il futuro. Però per il mercato, in questo momento,
evidentemente un intervento di questo tipo può essere idoneo a calmierare le paure
e, quindi, a stimolare le assunzioni e di conseguenza la ripartenza dell’occupazione.
D.
- L’obbiettivo del decreto è anche quello di incentivare formazione e apprendistato
…
R. - Non c’è dubbio che questo sia il nodo cruciale. Il nodo è soprattutto
quello legato alla formazione pubblica perché questa è resa complessa da una serie
di circostanze: la prima è che le competenze regionali determinano che la formazione
pubblica sia spesso totalmente differente da regione a regione. Ne deriva quindi complessità
per le imprese; il secondo riguarda il meccanismo, che nella storia dell’apprendistato
era connesso alla formazione in azienda, cioè alla formazione sul lavoro. Quindi,
preservare il più possibile gli spazi alla formazione di questo tipo piuttosto che
ad una formazione esterna, credo che sia anche questo un elemento positivo. Dobbiamo
tenere conto che stiamo parlando di un rapporto che è un po’ nella storia, nel Dna
di questo Paese. Se pensiamo che Michelangelo, Leonardo da Vinci, Giotto e così via
sono stati apprendisti e che con le vecchie botteghe artigiane si costruivano le professionalità
del futuro, ci rendiamo conto che la formazione sul lavoro è la chiave di volta per
far ripartire questo importantissimo istituto.
D. - Quali nuove opportunità
si possono riscontrare con questo decreto nel caso delle partite Iva e dei contratti
di collaborazione a progetto, i cosiddetti Co.co.pro?
R. - I Co.co.pro e le
partite Iva possono essere rapporti più che legittimi o simulazioni di rapporti di
lavoro subordinato. Credo che per questi ultimi indubbiamente le nuove opportunità,
soprattutto sul versante del contratto a termine, possano essere un’occasione per
riportare le partite Iva e i Co.co.pro nell’area di un rapporto trasparente e legittimo.
Teniamo conto, nello stesso tempo, che sono rapporti che in sé non vanno demonizzati.