2014-04-30 15:53:24

Giornata del jazz. Stefano Battaglia: i ritmi di oggi nuovi e globalizzati


E’ arte internazionale che parla tante lingue, è un mezzo di comunicazione che trascende le differenze di razza, religione, nazionalità: è la musica jazz. Per questo motivo, l’Unesco ha scelto di celebrarla il 30 aprile con una Giornata internazionale. Regno dell’improvvisazione libera e personale e frutto di una storia partita all’inizio del XX secolo dal sud degli Stati Uniti, questo genere musicale continua a seguire l’evoluzione del mondo, come racconta il pianista Stefano Battaglia, in concerto mercoledì sera alla Casa del Jazz di Roma. L’intervista è di Gabriella Ceraso:RealAudioMP3

R. - La genesi stessa del Jazz si è nutrita delle contaminazioni culturali e di tradizioni diverse che sono entrate come in osmosi. Questa cosa si perpetua nel tempo: anche dopo un secolo, la musica è in continua trasformazione, esattamente come lo è la società.

D. - E cosa entra in questo linguaggio? Ritmo, improvvisazione, armonia, strumentazione…

R. - Credo che la cosa più importante sia l’urgenza espressiva e anche il desiderio di trovare nuovi linguaggi e sperimentare nuove musiche, che credo sia il comune denominatore più vibrante e anche più interessante, forse, del jazz.

D. - In che cosa - diciamo - questo tipo di musica può un po’ essere da modello, anche per il vivere comune?

R. - Ci può insegnare una tolleranza profonda e a mantenere anche delle autonomia individuali, pur senza dimenticare che la ragione ultima, quindi filosoficamente la prima, di stare insieme sul pianeta è quella di comunicare tra di noi.

D. - A che cosa attinge, proprio nello specifico, il jazz? Africa, Europa…

R. - In effetti, la situazione è cambiata radicalmente in cento anni, perché il mondo ha avuto una trasformazione rapidissima nell’ultimo secolo. Possiamo dire che la globalizzazione ha messo in effetti, in un certo senso, a dura prova l’idioma specifico e originario del jazz. E’ rimasta come, in quel senso, una musica quasi classica americana. Ma il jazz, invece, che si è rinnovato, quello degli ultimi 30-40 anni, è una musica decisamente globalizzata, dove ci sono componenti anche nord europee, sud europee e dell’area del Mediterraneo, compresa naturalmente l’Italia. Quindi in questo senso è più una musica del mondo in questo momento.

D. - Perché si dice - quando si legge del jazz - che è espressione di libertà?

R. - Sì, perché in un certo senso l’improvvisazione contiene in sé il privilegio di poter stare nell’adesso, nel presente, e poter esprimersi esclusivamente per quello che il presente, l’urgenza espressiva esige. Questa è una condizione che l’interprete non ha, perché si cala nella partitura e, in un certo senso, si annulla anche in essa.

D. - Di chi il jazz di oggi - lei dice che ormai è diventata musica del mondo - non avrebbe mai potuto fare a meno?

R. - Credo che, mi sbilancio in questo senso, il jazz non debba fare l’errore che ha fatto la musica classica, diciamo la musica colta europea, di cristallizzare la sua evoluzione nel passato, ma deve dialogare con questa cultura, senza però smarrire le sue caratteristiche specifiche, che sono invece quelle di guardare dentro il futuro.

D. - Come si insegna la musica jazz?

R. - La cosa più importante è insegnare la fiducia, in un certo senso, nel costruire una identità ed è l’unica cosa di cui ha bisogno la gente che ascolta la musica: sentire l’individuo che si esprime nel modo più profondo, perché l’elemento di verità nell’arte è quello più importante.







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