2014-04-28 13:18:00

Negoziato israelo-palestinese. L'analista: momento decisivo


“Il crimine più odioso contro l'umanità nell'era moderna”. Così il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha parlato della Shoah, precedendo di qualche ora la giornata di oggi in cui Israele, come ogni anno, ricorda i sei milioni di ebrei uccisi durante le persecuzioni naziste: stamani l’intero Paese si è fermato per due minuti, rendendo omaggio alle vittime. Le dichiarazioni del presidente palestinese – dopo l’accordo con Hamas per un governo di unità nazionale, siglato la scorsa settimana a Gaza - sono però state giudicate come una mossa propagandistica dal premier israeliano Benyamin Netanyahu. Per un commento alle affermazioni di Mahmoud Abbas, ascoltiamo Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, intervistato da Giada Aquilino:

R. – L’ha fatto perché si è convinto sicuramente che quanto aveva detto precedentemente era un errore: più che rinnegare le precedenti dichiarazioni, le corregge. Perché oggi sta cercando di ‘vendere’ disperatamente quello che sembra, almeno a molti osservatori, un accordo fragilissimo - e non è la prima volta che ci prova, credo che sia la quarta – e cioè quello che ha raggiunto nei giorni scorsi con Hamas. L’idea, insomma, che non esistano due Palestine, ma che ne esista una sola e che lui possa essere il garante anche della posizione di Hamas, nell’eventualità e nella speranza di un futuro rilancio del negoziato di pace.

 

D. – Queste dichiarazioni possono essere dirette oltre che ad Israele, oltre che ad Hamas, anche ad un’opinione pubblica internazionale come, ad esempio, gli Stati Uniti?

R. – E’ un segnale lanciato a tutti, lanciato ad Hamas, lanciato a Israele, lanciato agli Stati Uniti che stanno cercando di rilanciare questo negoziato che, in questo momento, piaccia o non piaccia, è praticamente morto: bisogna quindi rianimarlo. In fondo, il segnale che a Abu Mazen lancia a tutti è un segnale di disponibilità.

D. - Israele ha già detto che le affermazioni di Abu Mazen non sono compatibili con la pace siglata con Hamas. Allora a che punto siamo?

R. - Israele in questo momento ha un governo molto particolare con Netanyahu ‘prigioniero’ in pratica della destra dello schieramento politico israeliano. Però io credo che le ragioni di speranza, più che legate all’attuale esecutivo e agli attuali equilibri di governo israeliano, siano legate ad una nuova generazione che sta affiorando dappertutto, sia in campo israeliano, sia in campo palestinese: una nuova generazione che non sente queste pesanti eredità del passato, in cui lo scontro era nel dna di ciascuno, ma sente la voglia di credere in qualcosa che si possa costruire assieme. E penso che Abu Mazen si sia anche fatto forza di qualcosa che è, in effetti, una novità: abbiamo continuato a pensare che Hamas fosse il movimento più estremista a Gaza; in effetti oggi non è più così, rispetto ai nuovi estremisti. Tutti questi elementi, se li mettiamo insieme, dovrebbero farci pensare che esista una possibilità per un colpo di reni, per rilanciare il negoziato.

D . – Che tempi ci sono per il negoziato?

R. – Perché riparta, sono brevissimi. Questo potrebbe essere il momento decisivo per dire: le cose stanno lentamente cambiando, c’è una nuova volontà, sediamoci intorno a un tavolo e torniamo a discutere. Ricominciare il negoziato non dico che significhi risolverlo, ma sarebbe un grande passo avanti.

(Tratto dall'archivio di radiovaticana.va)








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