Beatificazione di padre Girotti "martire per la carità" a Dachau
"Tutto quello che faccio è solo per carità". Così ripeteva il domenicano Giuseppe
Girotti anche davanti ai suoi persecutori. A distanza di quasi 70 anni dalla morte
nel lager di Dachau - riporta l'agenzia Agi - la Chiesa ha riconosciuto l'eroicità
di questa sua carità vissuta sino al martirio. E ieri pomeriggio, nella cattedrale
di Alba, la stessa dove venne battezzato il 30 luglio 1905 il card. Severino Poletto,
in rappresentanza di Papa Francesco, lo ha proclamato Beato.
Durante l'omelia,
il porporato ha riproposto le tappe principali della vita del nuovo Beato. "Educato
in una famiglia ricca di autentici valori umani e cristiani - ha detto - cresciuto
in una terra dove la fede era veramente il faro che orientava ogni esistenza, egli,
entrato nell'ordine dei padri domenicani, si sentì da subito conquistato dalla Parola
divina". E dalla lettura meditata della Scrittura e del Vangelo di Cristo, il beato
"imparò ad amare e beneficare i fratelli, soprattutto i poveri, gli ammalati e specialmente
i perseguitati per motivi razziali". In particolare, coloro che considerava i "fratelli
maggiori": gli ebrei.
Padre Girotti, ha ricordato ancora il cardinale, "senza
badare ai rischi ai quali si esponeva, si fece protettore" degli ebrei residenti a
Torino e dintorni, specialmente quando i nazisti e i fascisti li ricercavano per avviarli
ai campi di concentramento. Proprio per questo suo aiuto agli ebrei fu condannato
a seguirne la sorte e venne internato il 29 agosto 1944 nel lager di Dachau, dove
"consumò la sua vita vissuta sempre col dono quotidiano della carità, che costituisce
il suo vero martirio". Fu ucciso il 1° aprile 1945, sette mesi dopo la sua cattura.
Nella sua scheda personale conservata a Dachau si legge proprio che fu deportato perché
"aiutava gli ebrei".
Il cardinale ha poi invitato a riflettere su un aspetto
della vita spirituale del nuovo Beato: l'assiduo studio delle Scritture alimentato
dalla preghiera. Grazie al pane della Parola, padre Girotti, pur nel lager di Dachau,
non perse mai "la gioia e la serenità dello spirito". Era lui che "nutrendosi di preghiera
assidua e partecipando ogni giorno all'Eucaristia che veniva celebrata alle 4 del
mattino, coltivava la fraternità con i sacerdoti imprigionati con lui nella baracca
26, che, costruita per ospitare 180 persone, ne conteneva in quel momento più di mille,
e riusciva con il suo carattere ilare a tenere alto il morale dei confratelli con
la sua giovialità, frutto di un cuore limpido e immerso in Dio".
A questo
va ad aggiungersi il suo anelito all'unità dei cristiani. "La divisione dei discepoli
di Gesù - ha fatto notare il porporato - che via via si è consumata in varie epoche
della storia era chiaramente rappresentata anche nella baracca 26 del campo di concentramento
di Dachau, dove insieme erano prigionieri cattolici, ortodossi, protestanti e membri
di altre confessioni religiose". In quel luogo di sofferenza, ha sottolineato il cardinale,
il dialogo ecumenico "si realizzava in modo del tutto singolare", perché i prigionieri
"si aiutavano vicendevolmente a portare la croce e a offrire all'unico Signore gli
stenti, le malattie, il lavoro estenuante". (R.P.)