Il parroco di Sotto il Monte: visitare i luoghi di Giovanni XXIII è un'esperienza
di fede straordinaria
La parrocchia di Sotto il Monte-Giovanni XXIII ha iniziato da tempo a lavorare a un
ampio progetto di rilancio del paese che diede i natali al "Papa buono" nel 1881.
Il vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, ha dato l’impulso per la valorizzazione
spirituale dei luoghi di Papa Giovanni e la notizia della canonizzazione del prossimo
27 aprile ha aumentato il numero dei pellegrini che li visitano per vivere un’esperienza
di fede. Fabio Colagrande ne ha parlato con don Claudio Dolcini, parroco
di Sotto il Monte-Giovanni XXIII:
R. - Il desiderio
del vescovo Francesco Beschi - mi ha mandato qui lui come parroco un paio di anni
fa - è quello che diventi, sempre di più, un luogo di pellegrinaggio. Va bene la visita
alla casa natale, vedere i luoghi dove Papa Giovanni ha vissuto, dove è nato, la chiesa
del Battesimo; ma poi che non finisca poi solo in uno sguardo o nell’accendere una
candela: che possa essere un momento anche di fede. Per questo abbiamo un po’ insieme
pensato - il vescovo ha un po’ spinto - a realizzare alcuni luoghi che aiutino a vivere
bene il pellegrinaggio, che sia una proposta di fede. Fra questi, prima di tutto,
c’è la Casa del Pellegrino, che rappresenta un po’ il luogo di regia: i pellegrini
che arrivano, anche i gruppi, si iscrivono lì; poi dalla Casa del Pellegrino
si snodano i diversi percorsi. Uno dei percorsi nuovi, che è stato individuato, è
quello del Giardino della Pace, che è il racconto della vita spirituale di
Papa Giovanni: una specie di Via Crucis, un percorso a tappe, che racconta
- in sei tappe appunto - alcuni atteggiamenti e sei virtù della vita spirituale di
Papa Giovanni. Questo Giardino della Pace - che è molto bello, è un luogo anche
pieno di elementi simbolici - si conclude nella cripta che conserva degli oggettimolto importanti: conserva il crocifisso di Papa Giovanni, quello che aveva nella
sua stanza, di fronte al letto; il calco del volto e della mano di Papa Giovanni appena
morto, realizzati da Giacomo Manzù, dentro la teca in cristallo che ha contenuto il
corpo di Papa Giovanni dal 2001 al 2006 nella Basilica di San Pietro. L’idea è che
chi arriva e fa un pellegrinaggio non termina con lo sguardo sul Santo, ma è il Santo
che indica lo sguardo verso Gesù Cristo, verso il Crocifisso, che di fatto poi fu
tutta la vita di Papa Giovanni. Il motto “Oboedientia et pax” - “Obbedienza e pace”
- sintetizza la vita di questo Santo: continuamente l’obbedienza e la volontà di Dio,
con uno sguardo continuamente rivolto a Gesù Crocifisso.
D. - Don Claudio,
in molti, in questi giorni che ci accompagnano verso la canonizzazione di Giovanni
XXIII ripetono: “Non era solamente il Papa buono”. Cosa significa?
R.
- Forse questa bella icona - perché quando ad una persona si dice buono si
fa un bel complimento - ha un po’ messo in ombra altre virtù di questo uomo santo.
Quindi il lavoro della diocesi è anche quello di aiutare i pellegrini ad andare un
po’ oltre e comprendere anzitutto che questo Papa è stato quello che ha avviato l’esperienza
più importante dal punto di vista della Chiesa dello scorso secolo, che fu il Concilio
Vaticano II: fu in grado ed ebbe la volontà di avviare questa esperienza, perché fu
un uomo lungimirante. Non dimentichiamo che Giovanni XXIII ha, alle sue spalle, una
lunga esperienza all’estero. Uno studioso mi ha fatto questa battuta: “Il primo Papa
non romano”, nel senso che la sua vita, i suoi dieci anni in Bulgaria, gli altri altrettanti
anni in Turchia e Grecia e poi ancora altri anni a Parigi, lo hanno portato a conoscere
l’esperienza delle chiese un po’ all’estremità della Chiesa: perché la Chiesa di Oriente,
col dialogo con il mondo ortodosso; e poi col mondo islamico in Turchia; tutta la
fatica della II Guerra Mondiale; la dimensione del dialogo con gli ebrei; e, infine,
poi la laica Parigi lo porta al contatto con alcune nuove istanze del mondo. La lettura
di quest’uomo e l’incontro con queste realtà lo portano ad avviare l’esperienza più
grande della Chiesa. Questo non va dimenticato, altrimenti si dipinge certamente l’uomo
buono e quindi affabile, mite, misericordioso - perché era così - ma Papa Giovanni
fu un uomo molto determinato: fu un uomo che non mandava a dire le cose ed aveva quella
volontà e quella caparbietà di realizzarle, se riconosceva che fossero frutto dell’ispirazione
dello Spirito Santo. Come appunto dice del Concilio: “Sento dentro di me - dice a
mons. Capovilla all’avvio del Concilio - che questa è un’esperienza che vuole lo Spirito
Santo”.