Il messaggio di speranza di Asia Bibi in occasione della Pasqua: la salvezza arriverà
anche per me
Asia Bibi, la donna cristiana condannata in Pakistan per blasfemia nel 2009, lancia
per questa Pasqua un deciso messaggio di speranza dalle pagine del sito web Vatican
Insider: “Credo con tutto il mio cuore e con tutte le mie forze che risorgerò,
la salvezza arriverà anche per me”. Il suo processo ha subito però l’ennesima battuta
d’arresto con la cancellazione dell’udienza prevista per il 24 aprile. Con lei, costretti
a trascorrere questa festività nel braccio della morte anche il giovane Sawan Masih
e i coniugi Shafquat e per tutti si profila un lungo calvario giudiziario. Cecilia
Seppia ha ha raccolto la riflessione di Mobeen Shahid,fondatore
dell’Associazione Pakistani Cristiani in Italia.
R. – In questa
occasione, le parole di speranza da parte di Asia Bibi sono anche il forte segnale
della fede che vive, tutti i giorni. Lei che parla della speranza legata alla Risurrezione
di Cristo, in questo periodo di Pasqua, dà forza – in realtà – anche a noi, per vivere
ancora meglio la nostra fede e il nostro impegno per la difesa dei cristiani in tutto
il mondo. Oggi, i cristiani sono la presenza religiosa più perseguitata nel mondo
e si spera che il sistema giudiziario del Pakistan possa prendere decisioni reali,
per liberare Asia Bibi, visto che l’ultima volta che erano presenti i giudici e i
suoi avvocati, mancava però proprio l’accusa: forse veramente, si stanno rendendo
conto che hanno portato alla condanna a morte una donna innocente …
D. – Quello
di Asia Bibi è ovviamente il caso emblematico, ma ce ne sono altri. Pensiamo ai più
recenti: al giovane Sawan Masih, ai coniugi Shafqat … quanto pesano le pressioni politiche
o religiose sulla chiusura di questi processi per blasfemia?
R. – In realtà,
qualunque giudice o avvocato che metta le mani sui casi di abuso della legge sulla
blasfemia, viene minacciato dagli appartenenti a questi gruppi o partiti religiosi
di estremismo islamico, incluso Tarek-i-Taleban Pakistan, che hanno tutti gli strumenti
per imporre pressioni non solo ai cristiani, affinché lascino le loro proprietà, perché
si mettano da parte - perché oggi l’abuso della legge sulla blasfemia in realtà riguarda
piuttosto chi tra i cristiani o tra gli indù riesce a salire un po’ sulla scala sociale,
grazie all’educazione che ha ricevuto - ma anche contro qualsiasi governo che voglia
riconoscere i diritti ai propri cittadini.
D. – Ricordiamo che ci sono almeno
14 persone nel braccio della morte che attendono, appunto, che venga emessa questa
sentenza di condanna, sempre per l’accusa di blasfemia. E allora, ci chiediamo come
vive la Pasqua un cristiano in un carcere pakistano: un cristiano su cui pesa questa
terribile accusa …
R. – Vive la sua Pasqua in una sorta di apparente sicurezza,
ma ovviamente lontano dalla sua famiglia, senza la possibilità di andare a Messa,
senza ricevere il Sacramento: per cui vive queste condizioni dentro il carcere. Ma
la verità è che nella presente situazione mi domando quanto i pakistani cristiani,
che vivono a casa propria e hanno la possibilità di festeggiare la Risurrezione di
Nostro Signore il giorno di Pasqua, si sentano liberi e possano sentirsi al sicuro.
D.
– Continua ad esserci questa presenza viva della comunità internazionale su questi
casi, però, forse bisognerebbe fare qualcosa di più, a livello pratico?
R.
– La comunità internazionale può alzare la voce, dare visibilità al caso, garantire
un certo appoggio politico, dare i mezzi di sostentamento alla famiglia, ma può essere
fatto altro ancora. Sul piano della giurisdizione internazionale, il Pakistan può
e deve essere richiamato a rispettare i propri impegni firmati presso l’Onu, secondo
cui dovrebbe provvedere alla protezione di tutti i suoi cittadini.