Arturo Mari: la santità di Karol Wojtyla in quella Croce stretta tra le mani il
Venerdì Santo
Raccontare la santità attraverso un’istantanea. E’ quello che ha potuto realizzare
Arturo Mari, per oltre 50 anni al servizio dei Pontefici come fotografo dell’Osservatore
Romano. Legatissimo a Giovanni Paolo II, Mari conserva dei ricordi speciali anche
di Giovanni XXIII che ha potuto seguire da vicino all’inizio della sua professione.
La canonizzazione dei Papi Wojtyla e Roncalli rappresenta, dunque, per lui un momento
di grande emozione e gratitudine al Signore. Intervistato da Alessandro Gisotti,
il “fotografo dei Papi” confida le sue emozioni e ritorna ai momenti più belli vissuti
con Giovanni Paolo II:
R. – Per me,
è un avvenimento così bello, che il Santo Padre Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII
siano sulla gloria degli altari … sono felice e mi rende orgoglioso anche il privilegio
di essere stato vicino a questi due grandi uomini, per cui la felicità è tanta. Ho
avuto la fortuna di vivere accanto a dei santi viventi!
D. – Quali sono i suoi
ricordi più belli di Giovanni XXIII?
R. – La sua semplicità, il suo sorriso,
la sua carezza quando lavoravi … bisogna anche tenere presenti i tempi di allora,
con il protocollo di allora … Con Giovanni XXIII le porte del Vaticano si aprono,
la Chiesa si apre, lui incomincia ad andare in mezzo alla gente … Tu lavori accanto
ad un sant’uomo che ogni tanto si gira e si ricorda di te, ti dice “Come stai?”…
Questa è la soddisfazione maggiore che ho avuto.
D. – Lei ha vissuto accanto
a Giovanni Paolo II ogni giorno del suo lungo Pontificato. C’è un momento nel quale
ha incominciato a pensare che non era solo vicino a un grande Papa, ma proprio vicino
ad un Santo?
R. – Io ho conosciuto mons. Wojtyla al tempo del Concilio Ecumenico
Vaticano II, e lì saltava agli occhi subito questo vescovo sopra la norma. Non appena
Giovanni Paolo II ha iniziato il suo Pontificato, è scattata una molla che mi ha fatto
credere nella santità, che poi ho potuto toccare con mano. Il suo programma prevedeva
la valorizzazione di valori che mai si sarebbe pensato si potessero applicare – eppure
si sono avverati! Ci sono stati problemi enormi, che si sono risolti … questi sono
miracoli! Milioni di persone che hanno avuto la libertà, la pace … Oltre a cose specificatamente
personali, viste nella sua cappella e in altri luoghi, dove ad alcune persone è stato
detto: “Alzati e cammina!”, e in un certo senso questo è accaduto …
D. – Quando
Giovanni Paolo II pregava, tutti – da vicino o da lontano – avevamo l’impressione
che il tempo si fermasse …
R. – Quando lui era solo, in preghiera, assistere,
vederlo … e io qualche volta di nascosto – cosa che non avrei dovuto fare, però l’ho
fatto – da dietro l’altare vedevo quel volto che non era lui: i lineamenti, non era
lui; quello sguardo, non era lui: era una cosa fuori dalla norma! E poi, quando doveva
incontrare i potenti del mondo, lui si ritirava in preghiera, ginocchia a terra, con
la testa sull’inginocchiatoio, e incominciava un dialogo, un dialogo con Nostro Signore
…
D. – Lei aveva anche un punto privilegiato nel guardare le persone che incontravano
Giovanni Paolo II: cosa la colpiva, magari anche riguardando gli scatti, delle espressioni
del volto di queste persone che incrociavano lo sguardo di Karol Wojtyla?
R.
– Era bello, vedere i loro occhi! Un giorno il Santo Padre mi disse: “Arturo, vedi,
quando tu hai un amico, una persona che ami, nella quale hai fiducia, quando gli parli,
guardala sempre negli occhi: è quella parte della persona che non può tradire mai.
Lì potrai vedere la verità!”. E così era. E questa è stata una lezione che ho appreso
quasi subito e mi ha anche aiutato tanto nel lavoro, perché spesso con lui si riusciva
a parlare con gli occhi, con lo sguardo. La gente che lo aveva incontrato sapeva chi
stava guardando, specialmente i giovani: vedere quegli occhi luminosi, aspettando
una parola da lui, aspettando qualcosa, la felicità di toccare una persona che loro
amavano … questo era bellissimo!
D. – Lei ha scattato innumerevoli fotografie
di Giovanni Paolo II. Qual è quella che meglio rappresenta, quasi racchiude, proprio,
la santità di Giovanni Paolo II?
R. – La fotografia che ho fatto l’ultimo Venerdì
Santo nella cappella del Santo Padre, quando non ha potuto recarsi alla “Via Crucis”,
al Colosseo. Alla quattordicesima stazione, il Santo Padre ha chiesto la croce al
suo segretario don Stanislao Dziwisz: non mi ha colto alla sprovvista, perché conoscevo
troppo bene quest’uomo! Prende questa croce, la appoggia alla sua fronte, bacia il
Cristo e la appoggia sul suo cuore. Per me questi sono 27 anni – una vita! – dedicata
alla Chiesa, una vita dedicata al mistero della Croce. A questa Croce lui in ogni
momento si è appoggiato per chiedere aiuto; con questa Croce lui ha girato il mondo,
facendosi sempre forza con essa, con quel bacio, con la fedeltà a Dio, alla Chiesa,
alla sua missione. Le unghie delle sue dita erano rosse per la forza con cui stringeva
quella Croce; e con quelle mani lui ha scritto Encicliche, ha benedetto milioni di
persone, ha accarezzato bambini, malati, infermi, ha dato sostegno a chiunque potesse
dare aiuto … Quante lettere ha scritto, quante cose ha fatto per noi, con quelle mani!