Via Crucis a Pisa: la città prega per il bengalese morto in un'aggressione
Una violenza senza motivo: è questo ad aver ucciso Zakir Hossain, il bengalese di
32 anni, morto martedì scorso in seguito all’aggressione di un gruppo di quattro ragazzi,
nel centro storico di Pisa. Una provocazione e poi il pugno mortale. La prefettura
è sulle tracce di un tunisino, riuscito a rimpatriare, che potrebbe essere l’autore
del gesto omicida. Resta lo sgomento e l’incredulità, affermano la Caritas locale
e la diocesi, che stasera dedicheranno una tappa della Via Crucis, per le strade del
centro, anche al giovane morto e alla sua famiglia. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Non
sappiamo cosa pensare! Ora sentiamo solo il dolore di una tragedia di questa portata,
nei confronti della quale Pisa non è assolutamente abituata, essendo città tranquilla
e accogliente”. Così don Emanuele Morelli, direttore della Caritas della città,
circa la morte di Zakir Hossain, il giovane bengalese che aveva conosciuto e seguito
attraverso la Caritas, personalmente. Aveva una moglie - ci racconta - e dei figli
in Bangladesh, che manteneva proprio con il suo lavoro di cameriere:
“Abbiamo
timore che sia violenza gratuita, che non abbia uno sfondo razziale, anche perché
non ci sono mai stati segnali di distanza, di razzismo nei confronti della comunità
bengalese che è una comunità abbastanza silenziosa, in città: presente, numerosa ma
anche industriosa, laboriosa …”.
Don Emanuele Morellli esamina anche la
condizione della gioventù locale, appena coinvolta nella Missione giovani, voluta
proprio dalla diocesi: una missione che aveva visto giovani di diverse etnie in momenti
di festa e di condivisione:
“Certamente è una provocazione, per noi come
Chiesa, a interrogarci sempre di più e sempre meglio, sulla condizione giovanile e
a lavorare sui percorsi di prevenzione a queste forme di disagio latente”.
Gli
interrogativi sono tanti, sottolinea anche l’arcivescovo di Pisa mons. Giovanni
Paolo Benotto, che per questa sera ha organizzato una "Via Crucis" per le strade
del centro, anche sui luoghi dell’aggressione. Mons. Benotto:
R. – Gli interrogativi
sono quelli che tutte le persone si pongono: perché? Perché può succedere un fatto
del genere? Anche se, purtroppo, dobbiamo dire che di forme di violenza ce ne sono
tantissime! Siamo immersi in forme di violenza, soprattutto verbale, che non di rado
poi diventano anche violenza fisica; nelle relazioni, nella non accoglienza, la non
disponibilità … Ora, stasera noi faremo la nostra "Via Crucis" passando proprio lì,
e non potremo non pensare alla famiglia di Zakir che, appunto, è rimasta priva di
colui che la sostentava, pur essendo tanto lontano”.
D. – Sulla croce – lei
ha detto in un’intervista al Corriere Fiorentino – insieme al Cristo crocifisso ci
saranno tutti coloro che, come Gesù, sono colpiti dalla violenza: gli ultimi, i poveri,
le persone più fragili. In questo modo, c'è quasi idealmente un collegamento con Roma,
con la "Via Crucis" del Papa …
R. – Certamente. In Gesù, tutti siamo rappresentati,
soprattutto chi soffre, ma da Gesù tutti quelli che soffrono, proprio attraverso la
preghiera, vengono sostenuti e aiutati nel loro cammino.
D. – Cosa chiedere,
anche per questi giovani che hanno compiuto questo gesto?
R. – Per chi ha fatto
questo, conversione. Cioè, noi vogliamo aiutare anche chi è veramente andato fuori
strada, a ritrovare un minimo di strada retta, nella conversione e, direi, anche nella
penitenza: una penitenza e una conversione a cui siamo chiamati tutti, perché nessuno
di noi può dirsi immune da peccati o da fragilità, e tutti abbiamo bisogno di crescere.
Ma, o si cresce insieme o altrimenti il rischio è che davvero, ciò che impazzisce
diventi uno stile che poi coinvolge anche chi non vorrebbe.