Messa in Coena Domini. Il Papa lava i piedi a 12 disabili: l’eredità di Gesù è essere
servitori gli uni degli altri
Gesù si è fatto servitore e l’eredità che ci lascia è quella di “essere servitori
gli uni degli altri” nell’amore. E’ il cuore dell’omelia di Papa Francesco che ha
presieduto nella chiesa del Centro riabilitativo “Santa Maria della Provvidenza” della
Fondazione Don Gnocchi, a Roma, la Messa in Coena Domini che dà inizio al Triduo
Pasquale. Papa Francesco ha compiuto il rito della lavanda dei piedi a 12 disabili,
di diversa età, etnia e confessione religiosa, in rappresentanza di tutti i pazienti
assistiti nei 29 Centri operativi in Italia. A partecipare al rito, gli ospiti del
Centro “Santa Maria della Provvidenza” assieme a familiari, operatori e volontari.
Tra l'interno e l'esterno della chiesa erano presenti circa 500 persone. Hanno concelebrato
con il Santo Padre, il presidente della Fondazione Don Gnocchi, mons. Angelo Bazzari
e il cappellano del Centro, don Pasquale Schiavulli. Il servizio di Debora Donnini:
Nell’Ultima
Cena Gesù fa un gesto di congedo e, ricorda il Papa nell’omelia pronunciata a braccio,
ci lascia un’eredità:
“Lui è Dio e si è fatto servo, servitore nostro.
E questa è l’eredità: anche voi dovete essere servitori gli uni degli altri. E Lui
ha fatto questa strada per amore: anche voi dovete amarvi ed essere servitori e nell’amore.
Questa è l’eredità che ci lascia Gesù”.
Papa Francesco sottolinea che
il gesto di lavare i piedi è un gesto simbolico: “lo facevano gli schiavi, i servi
ai commensali, alla gente che veniva a pranzo”, perché a quel tempo “le strade erano
tutte di terra e quando entravano in casa era necessario lavarsi i piedi”. Tutta l’omelia
ruota, dunque, attorno alla riflessione su Gesù che fa “un servizio di schiavo” e
lascia questo come eredità:
“E per questo, la Chiesa, al giorno d’oggi,
che si commemora l’Ultima Cena, quando Gesù ha istituito l’Eucaristia, anche fa, nella
cerimonia, questo gesto di lavare i piedi, che ci ricorda che noi dobbiamo essere
servi gli uni degli altri”.
Il Papa esorta, dunque, tutti nel proprio
cuore a pensare agli altri e all’amore “che Gesù ci dice che dobbiamo avere per gli
altri”, e – aggiunge – “pensiamo anche come possiamo servirle meglio, le altre persone.
Perché così Gesù ha voluto da noi”. Quindi il Papa si è inginocchiato davanti a
ciascuno dei 12 disabili, ha lavato, asciugato e baciato i loro piedi come fece Gesù
ai suoi discepoli. Grande commozione e raccoglimento alla Messa scandita dai canti
del coro composto da ospiti e volontari del Centro. I 12 a cui il Papa ha lavato i
piedi sono persone con disabilità diverse, alcuni temporanee altri croniche; età e
provenienza differenti. Con i suoi 16 anni, il più giovane di loro è Osvaldinho, originario
di Capo Verde, costretto su una sedie a rotelle dopo un tuffo in mare, la scorsa estate.
I più anziani Pietro e Angelica, 86 anni. Poi c’è Walter affetto da sindrome di down.
E ancora Giordana, originaria dell’Etiopia, affetta da tetraparesi spastica, Stefano
e Daria con problemi di spasticità e paresi, e Orietta colpita da encefalite in tenera
età così come Samuele segnato dalla poliomelite a tre anni e che al centro “Santa
Maria della Pace” ha trovato non solo cure, ma anche formazione professionale, un
lavoro e persino una sposa. E Marco, 19 anni, a cui nell’ottobre scorso è stata diagnostica
una neoplasia cerebrale. Gianluca operato più volte per meningiomi. E Hamed, 75 anni,
musulmano, originario della Libia, che in seguito ad un incidente stradale ha riportato
seri danni neurologici. Un quadro, dunque, della sofferenza del mondo dove però risplende
la luce dell’amore.
Grande l’emozione dei 12 disabili scelti per il rito della
lavanda dei piedi in rappresentanza di tutti i pazienti assistiti nei centri operativi
della Fondazione Don Gnocchi. Tra loro Samuele, prima paziente e poi operatore per
oltre 50 anni al Don Gnocchi di Roma; Angelica, una signora di 86 anni, che a causa
di gravi problemi di deambulazione vive nell’ istituto da diversi anni; e Giordana,
una giovane di 27 anni, di origine etiope, affetta da tetraparesi spastica che risiede
da vent’anni al Centro “Santa Maria Nascente” di Milano. Ascoltiamo i loro commenti
raccolti da Marina Tomarro:
(Samuele) R. - E’ indescrivibile!
Non trovo le parole… Però colpisce dentro! Non trovo le parole, sul serio!
D.
- La lavanda dei piedi è un servire. Lei, per tanti anni, ha servito tanti suoi fratelli.
E’ vero?
R. - Sì! Ho lavorato qui al Don Gnocchi: ci ho studiato e ci sono
poi stato 50 anni… Sono cresciuto proprio nell’ambiente. La cosa che mi crea molta
emozione è don Carlo, che si è ricordato di noi, di me: lo accosto a Papa Francesco
che si ricorda degli ultimi e fra questi ultimi ci sono pure io, privilegiato in questo
suo gesto.
(Angelica) R. - Da piccola formica, mi sono trovata su
un trono da regina. Quindi, sono fortunata! Il Signore mi ha dato questa opportunità,
che non merito…
D. - Lei adesso vive qui al Don Gnocchi: è una sua seconda
famiglia?
R. - Una grande famiglia, questa! Io ci aggiungo pure la mia. Io
chiamo: “la città del sorriso”.
(Giordana) R. - Sono al Don Gnocchi
di Milano da 20 anni: è tipo la mia seconda famiglia! Mi hanno aiutato molto sia i
ragazzi che le suore, che gli operatori…
D. - Cosa vuol dire, per te, servire
il prossimo?
R. - Io faccio il possibile per aiutare i miei amici più deboli!
Faccio tutto ciò che è nelle mie forze! Penso che questo sia quello che volesse dire
Gesù.
Il Papa, durante l’omelia, ha spiegato che l’eredità di Gesù è quella
di essere servitori gli uni degli altri. Ma come sono state accolte queste parole
da chi opera quotidianamente con i fratelli più piccoli? Ascoltiamo alcuni commenti:
R.
- Sono loro che ci danno tanto amore, perché sono delle anime splendide! Noi siamo
orgogliosi e fieri di essere loro amici e… gli vogliamo bene!
R. - Penso che
si serve solo per amore e con amore! Non c’è altra possibilità, perché per me il servizio
è già amore.
R. - Servire il prossimo anche con un senso di umiltà, perché
piegarsi a lavare i piedi vuol dire riconoscersi piccoli di fronte anche a queste
persone che per noi sono grandi. Anche con questo gesto vuol dire proprio riconoscere
questo.
R. - Ogni giorno noi, oltre all’amore, cerchiamo di dare loro l’autonomia,
la possibilità di crescere, di essere al meglio di se stessi: anche se con ridotte
capacità motorie, ridotte capacità mentali, però con la possibilità di vivere!