Benedetto XVI compie 87 anni. Gli auguri di Papa Francesco
La Chiesa si stringe oggi attorno a Benedetto XVI che festeggia il suo 87.mo compleanno.
Papa Francesco ha chiamato il Papa emerito per telefono per fargli gli auguri, assicurandogli
di aver pregato per lui in modo particolare questa mattina nella celebrazione della
Santa Messa. Poiché è in corso la Settimana Santa, Benedetto XVI ha desiderato trascorrere
la giornata nell’abituale clima di raccoglimento e preghiera, senza forme particolari
di festeggiamento. Lo fa sapere in una nota il direttore della Sala Stampa Vaticana
padre Federico Lombardi. Joseph Ratzinger è nato il 16 aprile 1927 a Marktl am Inn,
un paesino della Baviera. La sua vita è narrata, fra l’altro in una nota autobiografia,
ma in diverse occasioni, durante il Pontificato, Benedetto XVI ha ricordato momenti
della sua giovinezza spesso dialogando con dei bambini. Alessandro De Carolis
ricorda in questo servizio alcune di questi incontri:
Per Papa Francesco
è affettuosamente il “nonno”, che vive alla porta accanto e alla cui saggezza è possibile
attingere in ogni momento. In questa affermazione viene immediatamente in risalto
di Benedetto XVI quello che di lui è universalmente noto, le sue qualità di dottrina,
finezza teologica, fede adamantina. Papa Benedetto è nella e per la Chiesa un chiaro
maestro. Ma la parola “nonno” evoca anche altro, una caratteristica spesso poco considerata
dalla “ritrattistica” ufficiale, che tende a celebrare le doti del Pontefice trascurando
i tratti dell’uomo. Il nonno è tale perché ha dei nipoti e i nipoti sono bambini,
ragazzini, che hanno un rapporto intimo con lui, sono attirati dalle sue storie raccontate
a tu per tu, che parlano di cose mai sentite, avvenute tanto tempo fa. Questo piace
ai nipoti, che non hanno invece interesse per l’eventuale aura di prestigio pubblico
di cui gode il loro nonno. Ed è questo il “nonno” che vogliamo ricordare oggi: Joseph
Ratzinger, l’uomo dalla simpatia soave più che plateale, temperata da un naturale
riserbo, ma non per questo meno genuina, emersa proprio in quelle occasioni in cui
Papa Benedetto ha potuto parlare come un nonno a dei bambini, ricordando se stesso
bambino. Per esempio, in una di quelle a lui care domeniche trascorse famiglia:
“La
domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture
della domenica (...) Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo,
quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava
il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente,
il grande pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista,
ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava.
Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili”. (Incontro mondiale
delle famiglie, 2 giugno 2012).
Squarci di vita di un bambino che diventerà
Papa e che parla a dei bambini come parlerebbe un nonno. Il quale non trasmette solo
ricordi, ma il valore che quei ricordi portano con sé. Ad esempio, il valore senza
prezzo che per dei bambini hanno la serenità e la sicurezza di una famiglia unita:
“Abbiamo
fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi
era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore
e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché
era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. (...) E così
siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la
bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli”.
E si rifletteva anche
negli amici, che prima di esserlo erano degli sconosciuti, poiché la famiglia Ratzinger
non era originaria del paesino dove il piccolo Joseph visse i primi anni di scuola.
Colpisce allora – in un’epoca di paradossi, in cui la diversità provoca ancora barricate
e dove, per altri versi, la tolleranza al diverso è un valore da imporre anche schiacciando
– ascoltare una testimonianza di integrazione dove il traguardo del rispetto duraturo
è raggiunto perché si ha avuto la pazienza di passare, sbagliando e ricominciando,
per la strada del dialogo:
“La nostra famiglia poco prima dell'inizio della
scuola elementare era arrivata in questo paese da un altro paese, quindi eravamo un
po' stranieri per loro, anche il dialetto era diverso (…) Non eravamo santi: abbiamo
avuto i nostri litigi, ma tuttavia c'era una bella comunione, dove le distinzioni
tra ricchi e poveri, tra intelligenti e meno intelligenti non contavano (...) Abbiamo
trovato la capacità di vivere insieme, di essere amici, e benché dal 1937, cioè da
più di settanta anni, non sia più stato in quel paese, siamo restati ancora amici.
Quindi abbiamo imparato ad accettarci l'un l'altro, a portare il peso l'uno dell'altro”.
Ricordi,
e valori, di un “nonno” – ma anche un maestro di anime – che ai suoi “nipoti spirituali”
non affida tanto l’emozione e la commozione di una bella storia di famiglia, ma con
quella storia indica una strada sicura, solida, per una vita che sia profondamente
felice. Una strada che per lui, che ne ha già percorsa un lungo tratto, è anche viaggio
che continua verso una terra promessa:
“In questo contesto di fiducia, di gioia
e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era
nella mia gioventù. In questo senso spero di andare ‘a casa’, andando verso l’’altra
parte del mondo’”.