Dal tramonto di ieri, 14 aprile, e fino al 22, la comunità ebraica in tutto il mondo
celebra la Pesach, ovvero la Pasqua. Una ricorrenza che anche Papa Francesco ha ricordato
inviando, venerdì scorso, 11 aprile, un messaggio di auguri al rabbino capo della
Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni.
La Pasqua ebraica, chiamata in
ebraico Pesach termine che significa “passaggio”, è una delle tre feste più importanti
nell’ebraismo. I suoi fondamenti si trovano nel libro dell’Esodo (capitolo 12): Dio
libera Israele, suo popolo, dalla schiavitù dell’Egitto, e lo libera dicendo che “passerà”
per il Paese d’Egitto colpendo e castigando i nemici. Da quel “passaggio” di Dio si
ricava il termine di “Pesach”. Per volontà divina, la Pasqua ebraica deve essere celebrata
ogni anno, trasmettendo il racconto della fedeltà di Dio al suo popolo e della liberazione
dalla schiavitù a tutte le generazioni.
Il libro dell’Esodo dice che il ricordo
di quell’evento della storia della salvezza deve essere ricordato per sempre: è un
memoriale. La festa è anche legata al ciclo delle stagioni, in particolare alla maturazione
dei primi cereali nel Vicino Oriente. Così, alla sera del giorno 14 del mese di Nisan,
quindi il giorno 15, gli ebrei, riuniti in famiglia, piccoli e grandi, si ritrovano
per celebrare la pasqua con la cena detta seder, che significa “ordine”. Infatti,
nel corso del pasto, preghiere, inni, meditazioni (come quelle tratte dall’Haggadah
di Pesach, una sorta di commentario-omelia sul significato della Pasqua), domande
e commentari si svolgono seguendo un ordine. Si mangiano erbe amare ed il mitzà, il
pane azzimo, ricordo del fatto che non c’era tempo per far lievitare il pane per la
fuga dall’Egitto, ma anche simbolo della difficoltà della schiavitù e della chiamata,
da parte di Dio, ad eliminare la corruzione del peccato che è nascosta nel cuore dell’uomo.
Questo
centro della storia della salvezza, la Pesach, ha una durata di sette giorni in Israele
e di otto per le comunità ebraiche della diaspora: il primo e l’ultimo giorno (per
la diaspora, gli ultimi due) sono molto solenni. Il rapporto tra i membri del popolo
ebraico e con Dio, Signore della Libertà contro l’oppressione e l’oppressore, si rinnova
ma, anche, si “ri-attualizza”. (G.P.)