Giornata internazionale dei bambini di strada: non dimenticare i loro diritti
Svegliare l'attenzione del mondo sui bambini di strada, perché vengano sostenuti e
perché vengano riconosciuti i loro diritti. E' l'intento della Giornata internazionale
a loro dedicata, che si celebra oggi e che è stata creata nel 2011 dal Consorzio per
i Bambini di Strada, la maggiore rete internazionale impegnata nel sostegno a questi
minori. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Impossibile
definire il numero dei bambini di strada nel mondo, ma le cifre sono impressionanti,
dati di qualche anno fa parlavano di 150 milioni, distribuiti nei Paesi in via di
sviluppo, dall’Asia, all’Africa, all’America Latina, ma anche in alcuni Paesi dell’Europa
dell’Est. Ma sono molti di più, perché se è vero che sono visibili nelle strade, è
altrettanto vero che non sono visti da statistiche e censimenti.
Questi minori
vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città, nelle discariche,
ma anche nelle zone rurali. Un’esistenza fatta di stenti, di totale abbandono, di
violenza, di sfruttamento, maltrattamenti e abusi. Sono orfani, profughi, rifugiati,
sono fuggiti da situazioni di degrado familiare, dalla povertà o abbandonati dai loro
stessi genitori. Passano le loro giornate mendicando, smistando immondizia per poi
rivenderla, lustrando scarpe, rubando e prostituendosi. Sono vittime della violenza
degli adulti, della criminalità, e della tossicodipendenza data dalla colla che regolarmente
sniffano.
A loro tutela vi è la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia,
ma spesso gli stessi Stati che l’hanno ratificata sono i primi a non rispettare i
loro diritti. Marta Buzzatti è responsabile comunicazione e raccolta fondi
del Cisv, la Comunità impegno servizio volontariato, un’Associazione che da anni
lavora con i bambini di strada in tre Paesi africani, Burkina Faso, Senegal e Benin
e in Venezuela:
R. – Ci occupiamo di questa tematica che presenta caratteri
comuni ma anche specifici del Paese. Sicuramente la povertà è il primo, intesa naturalmente
come povertà economica e sociale, quindi mancanza di mezzi in tutti i sensi. Sono
caratteristiche comuni che sono il risultato dello spostamento degli uomini dalla
zona rurale alle grandi città con il conseguente abbandono delle famiglie. Si tratta
di famiglie ancora molto numerose, che naturalmente non sono in grado di mantenere
i bambini, di mandarli a scuola, o più semplicemente di farli mangiare, vestirli,
curarli e soprattutto accudirli. Poi, parliamo di povertà di tipo sociale perché,
per quanto ci sia nei Paesi dell’Africa una rete sociale familiare che si occupa della
famiglia, in realtà poi però, se noi intendiamo il sociale come assistenza, questa
naturalmente manca. La povertà quindi in questo senso. Nel Benin, ad esempio, noi
lavoriamo con associazioni che si occupano della tratta dei minori, bambini e bambine,
che vengono presi per lavorare anche a sei, sette anni. Quando le bambine arrivano
a compiere 11-12 diventano “carne da macello” – uso proprio questa espressione – e
quindi c’è tutto il fenomeno dei matrimoni forzati. Ma in realtà sono matrimoni forzati
soprattutto per il lavoro, dove in realtà le bambine divengono schiave.
D.
– Stessa situazione anche in Venezuela?
R. – In Venezuela, ci sono delle diversità.
Operiamo in un’area urbana, si tratta di una città universitaria, Mérida, dove ci
troviamo di fronte al fenomeno della povertà delle periferie. Qui, il disagio è legato
ad esempio anche alla prostituzione delle donne, all’alcolismo, a una mancanza totale
del lavoro e di possibilità di sviluppo. È una situazione un po’ diversa da quella
africana, perché in questo caso è molto urbana, di difficile soluzione. Anche in questo
caso si tratta di un fenomeno in crescita.
D. – Chiaro che tutti questi bambini
che vivono in strada diventano oggetto di violenza Che cosa accade loro?
R.
– Violenza sì, ma non solo, soprattutto sfruttamento come manodopera di bassissimo
livello. Per esempio, in Burkina Faso questi ragazzi abbandonati, lasciati nelle strade
della capitale Ouagadougou, sniffano, sono in preda alle droghe e a malattie degenerative,
difficile per loro diventare grandi. La violenza c’è certamente. Per esempio, sempre
in Burkina, i ragazzini vengono presi e violentati perché è facile: si trovano per
la strada e, soprattutto, nessuno li difende. Vorrei però parlare anche di un’esperienza
in positivo, perché noi lavoriamo in quel Paese con un’Associazione che è stata creata
dagli stessi ragazzi di strada, che hanno deciso di costituirsi in un’associazione
per lottare per i propri diritti e per avere i servizi di base: l’acqua per lavarsi,
l’acqua per poter bere, per poter avere dei centri dove trascorrere del tempo insieme
e condividere la situazione e, soprattutto, dove poter proteggere i più piccoli proprio
perché non vengano presi, violentati e sfruttati. Loro stessi hanno creato questo,
cercano degli aiuti, degli appoggi e credo che il fatto che siano i ragazzi più grandi
ad aiutare e a tenere in piedi questa organizzazione sia davvero importantissimo.
C’è comunque un costante aumento di questi bambini. A me viene in mente Dakar, in
Senegal, dove qualche anno fa c’erano bambini in strada che chiedevano l’elemosina,
o che bussavano ai vetri delle macchine. Il fenomeno era veramente minimo rispetto
a quanto accade ora in alcune zone dove è veramente diffuso. Ricordo un’altra città,
Nairobi, in Kenya, dove già molti anni fa era diffuso il fenomeno dei bambini di strada.
Vedere dopo pochi anni Dakar diventare come Nairobi è stato scioccante, anche come
esperienza personale.