Il Papa: il teologo sia aperto e preghi, se si compiace del suo pensiero è un narcisista
Il Papa ha ricevuto nell’Aula Paolo VI in Vaticano i professori, gli studenti e il
personale non docente della Pontificia Università Gregoriana, del Pontificio Istituto
Biblico e del Pontificio Istituto Orientale. Il Papa ha ringraziato per il suo saluto
il preposito generale dei Gesuiti, padre Nicolas. “Le Istituzioni a cui appartenete,
riunite in Consorzio dal Papa Pio XI nel 1928 – ha detto - sono affidate alla Compagnia
di Gesù e condividono lo stesso desiderio di «militare per Iddio sotto il vessillo
della Croce e servire soltanto il Signore e la Chiesa Sua sposa, a disposizione del
Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra» (Formula, 1). E’ importante che tra
di esse si sviluppino la collaborazione e le sinergie, custodendo la memoria storica
e al tempo stesso facendosi carico del presente e guardando al futuro … con creatività
e immaginazione, cercando di avere una visione globale della situazione e delle sfide
attuali e un modo condiviso di affrontarle, trovando vie nuove senza paura”.
“Il
primo aspetto che vorrei sottolineare – ha proseguito il Papa - pensando al vostro
impegno, sia come docenti che come studenti, e come personale delle istituzioni, è
quello di valorizzare il luogo stesso in cui vi trovate a lavorare e studiare, cioè
la città e soprattutto la Chiesa di Roma. C’è un passato e c’è un presente. Ci sono
le radici di fede: le memorie degli Apostoli e dei Martiri; e c’è l’“oggi” ecclesiale,
c’è il cammino attuale di questa Chiesa che presiede alla carità, al servizio dell’unità
e della universalità. Tutto questo non va dato per scontato! Va vissuto e valorizzato,
con un impegno che in parte è istituzionale e in parte è personale, lasciato all’iniziativa
di ciascuno. Ma nello stesso tempo voi portate qui la varietà delle vostre Chiese
di provenienza, delle vostre culture. Questa è una delle ricchezze inestimabili delle
istituzioni romane. Essa offre una preziosa occasione di crescita nella fede e di
apertura della mente e del cuore all’orizzonte della cattolicità. Dentro questo orizzonte
la dialettica tra “centro” e “periferie” assume una forma propria, cioè la forma evangelica,
secondo la logica di Dio che giunge al centro partendo dalla periferia e per tornare
alla periferia”.
“L’altro aspetto che volevo condividere – ha aggiunto - è
quello del rapporto tra studio e vita spirituale. Il vostro impegno intellettuale,
nell’insegnamento e nella ricerca, nello studio e nella più ampia formazione, sarà
tanto più fecondo ed efficace quanto più sarà animato dall’amore a Cristo e alla Chiesa,
quanto più sarà solida e armoniosa la relazione tra studio e preghiera. Questa non
è una cosa antica, questo è il centro! Questa è una delle sfide del nostro tempo:
trasmettere il sapere e offrirne una chiave di comprensione vitale, non un cumulo
di nozioni non collegate tra loro. C’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica
per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera
spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e di fede. La filosofia
e la teologia permettono di acquisire le convinzioni che strutturano e fortificano
l’intelligenza e illuminano la volontà… ma tutto questo è fecondo solo se lo si fa
con la mente aperta e in ginocchio. La mente aperta e in ginocchio. Il teologo che
si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre”.
Il Papa ha
quindi ha proseguito: “Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto,
sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo, secondo quella legge
che san Vincenzo di Lerins descrive così: «annis consolidetur, dilatetur tempore,
sublimetur aetate» (Commonitorium primum, 23: PL 50, 668): si consolida con gli anni,
si dilata col tempo, si approfondisce con l’età. Questo è il teologo che ha la mente
aperta. E il teologo che non prega e che non adora Dio finisce affondato nel più disgustoso
narcisismo. E questa è una malattia ecclesiastica. Fa tanto male il narcisismo dei
teologi, dei pensatori”.
“Il fine degli studi in ogni Università pontificia
– ha sottolineato - è ecclesiale. La ricerca e lo studio vanno integrati con la vita
personale e comunitaria, con l’impegno missionario, con la carità fraterna e la condivisione
con i poveri, con la cura della vita interiore nel rapporto con il Signore. I vostri
Istituti non sono macchine per produrre teologi e filosofi; sono comunità in cui si
cresce, e la crescita avviene nella famiglia. Nella famiglia universitaria c’è il
carisma di governo, affidato ai superiori, e c’è la diaconia del personale non docente,
che è indispensabile per creare l’ambiente familiare nella vita quotidiana, e anche
per creare un atteggiamento di umanità e di saggezza concreta, che farà degli studenti
di oggi persone capaci di costruire umanità, di trasmettere la verità in dimensione
umana, di sapere che se manca la bontà e la bellezza di appartenere a una famiglia
di lavoro si finisce per essere un intellettuale senza talento, un eticista senza
bontà, un pensatore carente dello splendore della bellezza e solo “truccato” di formalismi.
Il contatto rispettoso e quotidiano con la laboriosità e la testimonianza degli uomini
e delle donne che lavorano nelle vostre Istituzioni vi darà quella quota di realismo
tanto necessaria affinché la vostra scienza sia scienza umana e non di laboratorio”.
Papa
Francesco ha così concluso: “Cari fratelli, affido ciascuno di voi, il vostro studio
e il vostro lavoro all’intercessione di Maria, Sedes Sapientiae, di sant’Ignazio di
Loyola e degli altri vostri santi Patroni. Vi benedico di cuore e prego per voi. Anche
voi, per favore, pregate per me! Grazie!”.