Il card. Raï all'Onu: il fondamentalismo islamico, minaccia per la pace
Il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca d'Antiochia dei Maroniti, ha tenuto nella
sede Onu di Ginevra, una conferenza sul tema dei cristiani, la pace e il futuro in
Medio Oriente. Tre i punti toccati: la presenza dei cristiani nel mondo arabo, una
ricchezza di tradizioni e iniziative sociali nei vari Paesi che ha promosso valori
morali e umani, in una costante testimonianza di ricerca di convivialità tra le differenze.
In secondo luogo la destabilizzazione attuale del Medio Oriente, dovuta ai tanti colpi
di Stato, alle lotte ideologico-religiose, al trionfo di rivoluzioni come quella di
Khomeini in Iran, alla deviazione fondamentalista che ha pressoché annullato i frutti
iniziali della "primavera araba" e le ingerenze di Paesi occidentali che mantengono
vivi i conflitti. Infine, il porporato si è soffermato sulle prospettive di futuro
per la Siria, facendo suoi, da un lato, i richiami di Papa Francesco ad una soluzione
politica, fatta di dialogo e di negoziazioni e, dall'altro, gli interventi di mons.
Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu
di Ginevra, che più volte ha ribadito analoghe vie di risoluzione del conflitto, nel
rispetto reciproco, liberando fede e politica da strumentalizzazioni reciproche. Il
milione e mezzo di rifugiati in Libano, vittime del conflitto siriano, non possono
più attendere una soluzione al dramma che stanno vivendo. Il patriarca, al termine
del suo intervento, ha ribadito che persistono numerosi elementi in comune e complementari
tra cristiani e musulmani, vissuti da più di un millennio tra le due culture che costituiscono
una base solida per il futuro. A margine della conferenza Gabriele Beltrami
ha rivolto al cardinale Béchara Boutros Raï alcune domande a partire
dalle parole di Papa Francesco all'udienza generale relative all’uccisione del padre
gesuita Frans van der Lugt lunedì scorso in Siria:
R. - Ci rincresce
molto l'assassinio del padre che conosciamo molto bene dal Libano. Penso che sia stato
ammazzato da fondamentalisti i quali, perseguitano i cristiani dichiaratamente e anche
i musulmani. Ogni fondamentalismo commette atrocità, violenza, terrorismo, morte,
assassinio, lo fa a nome della religione, quindi danneggia la religione stessa. Certo
questo non rappresenta l'Islam. L'Islam è un'altra cosa, ha i suoi valori. I moderati,
che sono la maggioranza, dovrebbero condannare tutto ciò. Purtroppo non condannano
apertamente e noi insistiamo affinché questa posizione sia presa chiaramente. Spesso
non lo fanno perché hanno paura di essere perseguitati. Questo noi lo sappiamo e
lo rispettiamo. Però voglio dire alla comunità internazionale e all'opinione pubblica
che la maggioranza dei musulmani sono moderati. Mi dispiace che una scelta politica
sta fomentando e promuovendo il fondamentalismo. Prendiamo il caso dell'Egitto: i
Fratelli musulmani sono stati aiutati finanziariamente da grandi potenze per ottenere
il potere. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che questa scelta politica vuole fomentare
i conflitti dentro l'Islam stesso, ma anche vuole mostrare, per il bene di qualcuno,
che è impossibile la convivenza tra gli uomini e, socialmente, tra le diverse civiltà.
Bene, vogliamo salutare il popolo egiziano che ha potuto fare questa rivolta, la stessa
cosa in Siria. Mi dispiace molto, perche la gente voleva le riforme: erano delle manifestazioni
giuste e vere. Sono state soppiantate da questi gruppi fondamentalisti. Sia Paesi
dell'Oriente che Paesi dell'Occidente volevano sempre mandare armi ai ribelli: ma
a chi andavano? Ai fondamentalisti, ai mercenari. Vuol dire che c'è una scelta politica
latente che vuole destabilizzare le società. Bisogna non solo che i moderati musulmani
denuncino apertamente, ma bisogna anche che la comunità internazionale si renda conto
che non può continuare a promuovere e sostenere e consolidare e fortificare i gruppi
fondamentalisti, perché questi non sono un pericolo solo per la regione, per i cristiani:
sono un pericolo per la pace mondiale. Quando uscissero fuori questi gruppi fondamentalisti
che non promuovono che il terrorismo, chi li potrà domare? Bisogna che la comunità
internazionale prenda coscienza e che dia ascolto al Santo Padre Francesco.
D.
- In una recente intervista ha messo chiaramente in discussione che si possa ancora
parlare di guerra civile in Siria dopo le tante ingerenze internazionali che, secondo
lei, alimentano solo le ostilità. La sua è una denuncia forte: che reazioni ha ottenuto
fino ad oggi?
R. - Quelli che non vogliono la pace e non vogliono soluzioni
politiche rifiutano questo discorso. E io l'ho sperimentato personalmente già all'inizio
della guerra in Siria, perché sono cosciente e lo dico dichiaratamente, pubblicamente:
quando io facevo appello ad una soluzione pacifica e politica in Siria, allora dicevano
che sostenevo il regime. Poi mi sono consolato perché fin dalla sua elezione, Papa
Francesco non ha cessato mai di richiamare alla soluzione politica. Chi non vuole
la pace, non accetta il tuo discorso; chi vuole la guerra non accetta il discorso
per la pace; chi vuole l'oppressione non accetta il discorso della giustizia; chi
vuole inimicizie non accetta il discorso della fratellanza. Però questo non vuol dire
che dobbiamo tacere: dobbiamo sempre dire la verità, richiamare alla giustizia, all'amore
- perché siamo tutti uomini - e anche alla libertà. Questi sono i quattro pilastri
della pace di Papa Giovanni XXIII: verità, giustizia, libertà e amore. Se questi pilastri
non esistono, allora la pace non può esistere. Ecco la voce profetica della Chiesa.
D. - Sembra che in Medio Oriente la ricerca di pace stabile e di riforme eque
attese da tempo si sia arrestata o quantomeno rallentata. Lei parla di "fortissima
crisi storica della stessa portata della fine dell'Impero ottomano e della divisione
della regione che ne seguì più di un secolo fa": quali le piste per una risoluzione?
R.
- All'origine di tutto quello che sta avvenendo nel Medio Oriente, ci sono il conflitto
israelo-palestinese e israelo-arabo. Sono due conflitti. Quello israelo-palestinese
riguarda il territorio palestinese: gente cacciata dalla terra, la propria terra,
che vive miseramente nei campi. Quello israelo-arabo riguarda Israele che occupa Paesi
arabi - Libano, Siria, Palestina - e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non
vengono applicate. Bene: né i palestinesi hanno diritto di ritornare, né hanno diritto
di formare il loro Stato, né l'esercito israeliano applica le risoluzioni per lasciare
i territori occupati: vuol dire che non vogliono la pace. E da questo conflitto nascono,
si alimentano, come da un fuoco, gli altri conflitti del Medio Oriente. Sono riusciti
a creare il conflitto tra i musulmani, hanno cercato di farlo tra cristiani e musulmani,
ovunque, specialmente in Libano, con la guerra del Libano: non sono riusciti perché
la cultura libanese della convivialità ha prevalso. Sono riusciti a creare questo
grande conflitto tra sunniti e sciiti, tra moderati e fondamentalisti e integralisti,
il conflitto in Egitto tra moderati e fratelli musulmani che sono piuttosto integralisti.
In Irak hanno acceso il conflitto sunniti-sciiti. Tutti i giorni si ammazzano a vicenda.
In Siria la lotta non è tra siriani sunniti e sciiti, lì non ci sono sciiti: si tratta
di una lotta di Paesi sunniti capeggiati dall'Arabia Saudita e Paesi sciiti capeggiati
dall'Iran. Questi Stati fanno la guerra in Siria attraverso l'opposizione, da una
parte, e attraverso i gruppi fondamentalisti e mercenari che vengono da diversi Paesi
occidentali e orientali. Questa è la grande tragedia: se la comunità internazionale
vuole veramente la pace nel Medio Oriente, deve cominciare a risolvere il conflitto
israeliano-palestinese e israeliano-arabo.
D. - Il Libano ha accolto un milione
e mezzo di profughi siriani, un terzo della popolazione libanese: qual è oggi la situazione
e le prospettive per loro?
R. - Il Libano, differentemente da altri Paesi,
non ha potuto chiudere le porte, non ha potuto mai dire basta, perché in Libano c'è
una parola che dice: "Le mani che hanno conosciuto i chiodi, inchiodate dai chiodi,
solo loro sanno toccare le ferite". Noi abbiamo sperimentato e noi sempre abbiamo
detto, io ed altri: "Fossimo noi al loro posto! Fossero le nostre famiglie!". Quindi
noi non possiamo chiudere la porta alla gente innocente. Questo non vuol dire che
il Libano deve assumere da solo questo peso. Non si tratta solo di un grande peso
economico-sociale - perché non hanno nulla per vivere, per vestirsi, per mangiare,
per le scuole – ma anche niente sicurezza, perché entrano le armi. A lungo andare
questo minaccia l'identità del Libano, la fisionomia sociale e la cultura libanesi
e minaccia specialmente la sicurezza del Libano perché queste persone verranno strumentalizzate
politicamente: è gente oppressa, gente ferita quindi può vendersi a tutte le correnti.
Una volta il Beato Giovanni Paolo II disse all'Onu che non basta denunciare i fondamentalisti
e integralisti, bisogna vedere perché esistono, dove stanno le cause perché se c'è
oppressione e ingiustizia nel mondo ecco che nascono questi gruppi fondamentalisti.
Bisogna aiutare i profughi, certo, ma bisogna anche salvare il Libano. Noi chiediamo
oggi che siano stabiliti campi all'interno della Siria, dove hanno molto spazio di
sicurezza sotto il controllo dello Stato, e se per caso fosse difficile far passare
gli aiuti attraverso le frontiere siriane - dato che il regime ha paura che entrino
anche i mercenari - noi proponiamo che siano sulla "no man's land", cioè tra le due
frontiere. Però adesso lo stesso problema è che vivono in mezzo ai villaggi: non abbiamo
spazio in Libano. Il Libano ci sono montagne e valli e qualche pianura. Quindi faccio
un appello alla comunità internazionale: non bisogna sacrificare un Paese che è democratico,
un Paese dove c'è la convivialità tra musulmani e cristiani organizzata dalla Costituzione.
Volete democrazia? Nel Medio Oriente la porta il Libano! Volete diritti umani e fondamentali?
Li porta il Libano! Volete le libertà, tutte le libertà pubbliche? E' il Libano a
portarle! Volete convivialità di religioni, culture? E' il Libano ... ! Per favore,
non sacrificate il Libano perché con senso umanitario riceve gente disperata. Spero
che questo appello arrivi a delle coscienze e a delle buone volontà per non creare
un altro problema ancora: noi non vogliamo rinunciare a questa nostra cultura cristiana,
però, per favore, che il mondo aiuti questo Paese di cui ha detto Giovanni Paolo II
che è un messaggio e modello per l'Oriente e l'Occidente, per dire che è possibile
vivere insieme essendo diversi.