Kerry critica Israele per lo stallo dei negoziati israelo-palestinesi
Il segretario di Stato americano, John Kerry, sottolinea le responsabilità di Israele
nello stallo dei negoziati in Medio Oriente, dopo il fallimento a inizio settimana
dell’incontro tripartito tra negoziatori israeliani e palestinesi con la mediazione
dell'emissario americano Martin Indyk. In particolare Kerry critica l'annuncio del
governo Netanyahu della costruzione di 700 nuove abitazioni a Gerusalemme Est e il
mancato rispetto del rilascio di alcuni detenuti palestinesi. Da parte sua, il premier
israeliano ha bloccato la cooperazione con l'Autorità nazionale Palestinese. Questa
decisione - mina alla base qualsiasi tipo di negoziati futuri e viola la leadership
palestinese - è la replica dell'Anp. Della questione delle colonie e di altre quesioni
aperte, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di storia
delle relazioni internazionali all’Università del Salento:
R. – La questione
dei coloni è una questione estremamente delicata. L’ex premier israeliano Sharon aveva
messo un punto sulla questione dei coloni, togliendoli da Gaza, sollecitando quelli
della Cisgiordania. Con Netanyahu il problema si è aggravato. E’ una questione più
che altro di politica interna. Poi, bisogna vedere dove queste “colonie” vengono costruite,
perché molte delle colonie che vengono denunciate sono a Gerusalemme e non dimentichiamo
che Gerusalemme è una città ormai unificata ed è la capitale dello Stato di Israele.
In altre zone sicuramente si dovrebbe fare qualcosa per risolvere la questione. Israele
negli anni l’ha già fatto: molte volte ha mandato l’esercito per espellere i coloni
e togliere quegli insediamenti che andavano a danneggiare il processo di pace. Il
coraggio lo ha avuto più volte. Credo che il momento in cui ci sarà un nuovo accordo
tra le due parti Israele sarà pronta a mandare anche l’esercito come estrema ratio
per risolvere la questione.
D. – Dal 2008, più o meno, ci sono stati tre anni
di grande stallo nel processo mediorientale. Sembrava negli ultimi mesi che qualcosa
si fosse rimesso in moto ma invece si confermano le grandissime difficoltà. Che passi
ancora immaginare per rimettere in moto il negoziato?
R. – Dobbiamo tenere
conto di due aspetti. L’aspetto pubblico e l’aspetto segreto. Nell’aspetto pubblico
le due parti si accusano reciprocamente di tutto e anche dell’impossibile. Negli accordi
segreti, negli incontri segreti, le parti si siedono al tavolo e discutono seriamente
delle cose da fare. Certo, ci sono questioni che non credo si potranno mai risolvere.
Una è quella dei profughi. L’immissione di un numero molto alto di profughi, o di
ex-profughi, in un possibile nascente Stato palestinese diventerebbe estremamente
complicato. Quindi, credo che anche l’Anp sa che lì non potrà trovare accordi chiari
con lo Stato di Israele. I problemi molte volte sono di contiguità geografica, cioè:
dove e come far nascere uno Stato palestinese. Qui non ci sono soltanto problemi tra
l’Anp e lo Stato di Israele ma ci sono problemi tra Fatah in Cisgiordania e Hamas
a Gaza. Quindi, non ci sono soltanto problemi esterni ma anche e soprattutto in questo
caso problemi interni. E tutte le dichiarazioni pubbliche sia da parte degli israeliani,
sia da parte dei palestinesi, molte volte, servono a blandire, o a tenere bassa la
tensione dove i problemi sono più seri, cioè nelle questioni interne.
R. –
Sembra proprio che eliminato un po’ il problema degli attentati e della violenza,
Israele abbia tutto l’interesse a mantenere lo status quo?
R. – Sì,
finché c’è questo governo, devo dire che probabilmente lo status quo è estremamente
conveniente allo Stato di Israele. Il problema degli attentati è stato risolto con
una cosa terribile, bruttissima da vedere, però, ahimé - lo devo dire con dispiacere
- estremamente utile, cioè il muro. A questo punto Israele può decidere di assumere
una posizione dura al tavolo delle trattative, proprio perché dall’altra parte non
sente più tanto il pericolo.