Giornata dei Rom e dei Sinti, minoranza ancora svantaggiata in Europa
In Italia sono circa 130-150 mila, intorno ai 12 milioni in tutta l’Europa: sono i
rom e sinti, comunemente chiamati nomadi, definizione che oggi per la maggioranza
di loro non corrisponde alla realtà. L’8 aprile è la Giornata che l’Onu ha dedicato
a questi popoli per favorirne l’integrazione nelle società. E l’Unione Europea insiste
molto su questo dovere dei singoli Paesi. Ma come si è arrivati a questa Giornata
internazionale dei rom e dei sinti? Adriana Masotti lo ha chiesto a Daniela
Pompei, responsabile nazionale del servizio immigrazione e rom della Comunità
di Sant’Egidio:
R. - La giornata
nasce in ricordo del primo raduno europeo che si svolse a Londra nel 1971. In quell’occasione,
si radunarono rom provenienti dai vari Paesi europei che decisero anche la bandiera
e scrissero una canzone "Gelem, Gelem", che ancora oggi viene cantata nelle
feste del popolo rom.
D. - Che cosa è cambiato in oltre 40 anni nell’approccio
con questi popoli in Europa?
R. - I rom sono la minoranza più numerosa a livello
europeo. Si calcola siano intorno ai 12 milioni. Ci sono alcuni Paesi che hanno una
presenza maggiore, come la Romania, l’Ungheria, la Francia, la Spagna… L’Italia è
tra i Paesi che conta un numero abbastanza esiguo. Chiaramente, è molto difficile
dire quanti siano effettivamente i rom, a causa anche di uno stigma che pesa sulla
loro vita, tanto che molto spesso porta anche gli stessi rom a non dichiararsi tali,
in modo particolare in alcuni Paesi dell’Est Europa.
D. - L’Europa, presa coscienza
di questa realtà, che cosa fa per spingere i Paesi membri a integrare nel loro contesto
i rom e i sinti?
R. - L’ Unione Europea effettivamente dal 2011 sta facendo
un lavoro di pressing molto forte sui Paesi dell’Unione Europea. Nello specifico,
ha indicato quattro assi fondamentali su cui è necessario lavorare per il tema dell’integrazione:
l’alloggio, il lavoro, l’istruzione - la possibilità di far studiare in modo particolare
i piccoli - e l’accesso alla salute, tenendo presente che su quest’ultimo tema i rom
vivono in media dieci anni in meno degli europei, pur essendo europei. L’altro dato
preoccupante sul tema della salute, ad esempio, è quello che riguarda la mortalità
infantile che è, a seconda dei Paesi, da due a sei volte superiore rispetto a quella
dei bambini europei. Riguardo all’istruzione, per esempio, la Comunità di Sant’Egidio
ha messo in campo un programma che è stato giudicato una best practice a livello
europeo, favorendo la frequenza scolastica dei bambini e provando a prevenire le forme
di accattonaggio. Come si fa? Attraverso l’erogazione di borse di studio per i bambini
che frequentano veramente la scuola.
D. - Tornando alle indicazioni dell’Europa,
che cosa si fa poi in pratica nei Paesi per i rom e i sinti?
R. - Dipende
dai Paesi dell’Unione. L’Unione Europea spinge moltissimo su questa questione. Il
4 aprile la commissaria Redding, che ha presentato un rapporto a Bruxelles, ha parlato
di "piccoli miracoli" che stanno nascendo sul tema dell’inclusione dei rom. Probabilmente,
questa è una buona notizia. Vuol dire che è possibile intervenire e modificare situazioni
che sembrano molto difficili.
D. - In particolare, l’Italia viene spesso ripresa
per inadempienza. Ad esempio, nel nostro Paese non c’è stato ancora il superamento
dei campi…
R. – Certo, certo. Alcune città italiane stanno iniziando però a
recepire il superamento. Ad esempio, Genova sta chiudendo i campi inserendo i rom
nelle case popolari. Però, effettivamente, siamo ancora un pochino indietro su questo
tema specifico. Io auspico che nel giro di dieci anni il discorso dei campi venga
superato. Questo aiuterebbe e faciliterebbe moltissimo il percorso di integrazione
delle famiglie rom e poi dei bambini rom, proprio perché è una popolazione molto giovane.