Elezioni parlamentari in Indonesia, test cruciale per le presidenziali di luglio
La terza democrazia più popolosa al mondo, l’Indonesia, si reca domani alle urne per
eleggere il nuovo Parlamento, test cruciale per le presidenziali del 9 luglio: 186
milioni gli elettori, su una popolazione di 250 milioni di abitanti. Si vota anche
per le amministrative. Dodici le formazioni in lizza per i 560 seggi dell’Assemblea:
i partiti dovranno conquistare almeno il 20% dei seggi o il 25% dei voti per poter
presentare poi un candidato alle presidenziali. Uno schieramento in grado di ottenere
tale affermazione, secondo i sondaggi, sembra essere il Partito democratico indonesiano
di lotta, all’opposizione, a cui appartiene il popolare governatore di Jakarta, Joko
Widodo, che potrebbe quindi succedere all’attuale capo di Stato, Susilo Bambang Yudhoyono.
Per le attese di questo voto, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a
Jakarta padre Francesco Marini, missionario saveriano da anni in Indonesia:
R. - Da queste
elezioni penso che si attenda una rappresentanza del popolo più ‘pulita’, perché la
vita politica in questi ultimi anni è stata animata dai processi contro la corruzione,
che hanno toccato sia i membri del Parlamento, sia quelli del governo, sia il campo
giudiziario. È un fenomeno molto sentito, quindi la gente si aspetta un Parlamento
più rappresentativo, più capace di creare nuove leggi e in grado di collaborare anche
con la giustizia. L’attesa più grande naturalmente sarà per le elezioni del presidente.
D.
- A proposito delle elezioni presidenziali, in testa in questo voto legislativo sembra
essere il Partito democratico indonesiano di lotta, tra i cui esponenti c’è il governatore
di Jakarta, Widodo, che poi potrebbe essere candidato alle presidenziali…
R.
- Si, il capo del partito è la figlia del presidente Sukarno, Megawati, la quale ha
ha deciso di presentare questo governatore che in poco tempo ha dimostrato, qui a
Jakarta, che si possono fare notevoli cose lavorando con decisione, con prospettive…
Adesso molto dipende dai risultati di queste elezioni parlamentari: se il suo partito
- come si prevede - dovesse vincere, la sua candidatura come presidente sarebbe sostenuta
in maniera molto più ampia.
D. - Che Paese è oggi l’Indonesia?
R. -
Non si può dire che la crescita sia lenta, perché negli ultimi sette anni ha superato
il sei per cento annuale; quest’anno effettivamente è un po’ calata, ma non è scesa
al di sotto del 5,5 per cento. Secondo me la crescita c’è e si vede, solo che c’è
una fetta della popolazione che è tagliata fuori e fa fatica a tirare avanti soprattutto
nelle città: stando a contatto con la gente, si vedono le condizioni di povertà e
di miseria.
D. - Nel Paese musulmano più popoloso al mondo come sono i rapporti
con le altre religioni?
R. - Ufficialmente non ci sono problemi, nel senso
che le grandi organizzazioni musulmane, così come anche il governo, non creano problemi,
né discriminazioni. Però, in questi ultimi anni, sono venuti fuori vari gruppi fondamentalisti
musulmani che hanno creato non solo pressioni, facendo campagne che incitano alla
contrapposizione, ma soprattutto, in alcuni casi, sono intervenuti nella vita civile
anche con violenza.
D. - Come vive la comunità cristiana in Indonesia?
R.
- È una minoranza. Tra cattolici e protestanti siamo circa il dieci per cento: il
sette per cento è protestante e circa il tre è cattolico. Ci sono delle zone tradizionalmente
cattoliche: per esempio la zona di Flores, di Timor, che ora comprende anche il nuovo
Stato del Timor orientale, che prima era una provincia dell’Indonesia.