Venezuela ancora ad alta tensione. Nuove manifestazioni antigovernative
In Venezuela ancora alto il livello di tensione. Unità della Guardia Nazionale Bolivariana
e della polizia antisommossa venezuelana sono intervenute domenica nella zona di El
Cafetal (est di Caracas) per disperdere sul nascere nuove manifestazioni antigovernative.
Fonti dell'opposizione informano di almeno due feriti e varie persone soccorse perché
intossicate dai gas lacrimogeni. Erano tre i cortei antigovernativi della protesta
antichavista. Della situazione Benedetta Capelli ha parlato con Loris Zanatta,
docente di storia dell'America Latina all'Università di Bologna:
R. - Francamente
non saprei. Penso che nessuno sappia con precisione come uscire da una situazione
di questo genere, perché naturalmente non esistono istituzioni neutrali in cui tutti
abbiano fiducia - e dunque cui rivolgersi per una mediazione - ed entrambi i contendenti
non si fidano l’uno dell’altro. Il governo accusa l’opposizione di volerlo rovesciare
e l’opposizione, a sua volta, ha ottimi argomenti per definire il governo “inaffidabile”.
Non è un caso – forse - che abbia fatto capolino l’ipotesi di una mediazione ecclesiastica.
Nemmeno questa però è una soluzione a portata di mano al momento. Comunque l’Episcopato
venezuelano ha emesso una dichiarazione molto importante, anche molto dura. Da un
lato definisce – cito testualmente - “totalitario” il regime di Maduro, dall’altro
ha aperto uno spiraglio affinché la Chiesa possa divenire un terreno il più possibile
neutrale. Naturalmente i vescovi parlano di una riconciliazione.
D. - Quindi
a distanza di due mesi, se dovessimo fare un’analisi su quanto sta accadendo, quali
sono le ragioni che spingono tante persone a mobilitarsi e a protestare?
R.
- Maduro deve fare i conti con il fatto che la sua impopolarità sta crescendo sempre
di più. Il Paese è spaccato in due, e ormai contro di lui si sono congiunti due elementi:
la protesta contro l’autoritarismo unita alla protesta contro l’inefficienza. Se si
pensa all’enorme ricchezza che questo Paese ha avuto a disposizione e alla situazione
economica in cui si trova, questo provoca un grido di rabbia, e oramai la protesta
si è estesa anche ad una parte dei ceti popolari che fino a poco fa erano stati chavisti.
Ricevo regolarmente appelli da parte di colleghi delle università venezuelane che
raccontano delle condizioni in cui lavorano; condizioni veramente estreme, di libertà
limitata. Sono tutti elementi che si sono saldati sempre di più con le proteste per
le condizioni di vita, con la violenza che continua ad essere un flagello terrificante
e la situazione economica. Tutto ciò pone ovviamente dei problemi, perché il governo
non ha del tutto torto quando parla di manifestazioni così croniche come un tentativo
di rovesciare un governo regolarmente eletto. Poi si pone un altro problema: a forza
di andare avanti con queste manifestazioni bisognerà darsi un obbiettivo politico;
questo lo vedo più complicato. Ma, non si vede perché dovrebbero smettere di cessare
queste manifestazioni nel momento in cui il governo non cede di un minimo ma anzi
diventa sempre più autoritario. Oramai, anche secondo i sondaggi, la maggior parte
dei venezuelani ritiene che il governo sia una dittatura, non una democrazia.
D.
- In questa situazione qual è il ruolo degli Stati Uniti?
R. – Non lo conosciamo
esattamente. Probabilmente lo stanno svolgendo con grandissimo tatto e delicatezza,
cercando probabilmente di dare qualche sostegno all’opposizione. Ma io non credo che
in questa crisi gli Stati Uniti abbiano un ruolo centrale. Chi dovrebbe averlo in
questa crisi sono i Paesi Sudamericani; hanno creato l’Unasur, hanno mille istituzioni
per mediare e per adesso i governi dell’America Latina stanno traccheggiando. Penso
che in realtà la preoccupazione più grande degli Stati Uniti sia quella di non farsi
trascinare dentro il conflitto e quindi non consentire a Maduro di presentare il conflitto
come un conflitto tra il nazionalismo latino-americano e l’impero statunitense. La
vecchia tattica o tecnica del nazionalismo latino-americano, gli Stati Uniti lo conoscono
fin troppo bene ed è quindi l’ultima cosa in cui vogliono farsi trascinare.