Nuova emergenza Ebola in Guinea. Casi confermati anche in Liberia
Dall’Africa nuovo allarme sul fronte sanitario per la diffusione del virus Ebola,
specie in Guinea, dove si sono già registrati 122 casi sospetti e 84 morti. Altri
casi sospetti vengono segnalati in Liberia, Sierra Leone e Mali. Roberta Gisotti
ha intervistato Mariano Lugli, dell’associazione "Medici senza frontiere" coordinatore
dell’Emergenza Ebola in Guinea, appena rientrato a Ginevra dal Paese africano:
D. - Anzitutto
vogliamo ricordare cos’è Ebola?
R. – E’ un virus per il quale non esiste un
trattamento. Ci sono diversi sottogruppi. Quello di cui è affetta la Guinea ed anche
la Liberia, dove c’è stata adesso la conferma di casi positivi, è il sottogruppo ‘Zaire’,
quello più letale: 9 pazienti su 10 possono morire di questa malattia.
D. –
Qual è la situazione al momento?
R. – L’epicentro di questa epidemia, che si
trova nella città di Gueckedou, nella parte Sud-Est del Paese, comincia ad essere
sotto controllo. Abbiamo, infatti, identificato le zone più colpite, abbiamo isolato
i casi sospetti, abbiamo trattato i decessi e così via. Il problema è che le persone
da questa città si sono spostate in altre zone del Paese. Per questo l’epidemia si
è spostata in città come Macenta, Kissidougou, Conakry, al confine con la Liberia,
dove adesso sono stati confermati dei casi.
D. – Ma c’è modo di contenere
l’epidemia?
R. – Per contenere l’epidemia ci sono quattro o cinque azioni che
bisogna fare: isolare i pazienti contaminati in un centro specializzato, dove le persone
che entrano sono protette e non si contagiano fra loro; identificare le persone che
hanno avuto dei contatti fisici con questi pazienti contaminati, che siano ancora
vivi o deceduti; quindi, seguire questi contatti per 21 giorni, che è il periodo di
incubazione, per definire che la persona non sia più contaminata; serve poi una sorveglianza
epidemiologica per identificare le zone più colpite e nello stesso tempo mettere in
opera anche delle équipe mobili, che possano andare a recuperare i pazienti sospetti
o probabilmente malati. Bisogna mettere in piedi anche delle misure d’igiene rinforzate,
in modo tale che lo staff sanitario non si ammali e non venga in contatto con il virus.
Questa malattia, infatti, si contagia attraverso i liquidi corporali, quindi lo staff
sanitario è quello più esposto. Nello stesso tempo, fare opera di sensibilizzazione
nella comunità, per ridurre i rischi di panico nella popolazione. Questo è necessario
farlo il più rapidamente possibile, per cercare di contenere l’epidemia.
D.
– A che punto è la ricerca per dei vaccini o delle cure definitive?
R. – Siamo
ancora indietro. Io non sono una specialista della materia. So che c’è un tentativo
canadese, che però non è ancora stato sperimentato sull’uomo, se ricordo bene. Al
momento, però, non esistono terapie. Quindi se la persona è isolata e gli si prodigano
i trattamenti necessari rispetto ai sintomi, bisogna sperare che il paziente stesso
possa sviluppare gli anticorpi per poter combattere la malattia. Non esiste, però,
un trattamento specifico.
D. – C’è bisogno di ulteriori forze sanitarie sul
posto?
R. – In questo momento ci sono una sessantina di operatori di MSF, che
hanno la loro base a Gueckedou, a Macenta, a Conakry e adesso stiamo andando anche
in Liberia. Ci sono poi delle équipe dell’Organizzazione mondiale della sanita (OMS),
che hanno la responsabilità di coordinare insieme ai ministri della Salute queste
attività. Diciamo quindi che le forze in campo stanno arrivando. Come ho detto prima
la rapidità degli interventi può fare la differenza. In più si sta dando una eco mediatica
importante. Il problema è che epidemie di questa ampiezza, in una ripartizione geografica
così vasta, non ne abbiamo mai viste! Abbiamo visto epidemie con più casi, con più
decessi, anche se questa non è ancora finita. Bisogna vedere come si sviluppa in Liberia,
sperando che si possa contenere rapidamente. A Conakry per ora non ci sono parecchi
casi, ma è necessario agire in fretta sui sospetti contagi.