Le condizioni dei rom al centro del convegno “Italia Romanì”. Mons. Perego: il pregiudizio
si vince con l’incontro
“L’inclusione dei rom e dei sinti in Italia”. Questo il tema del convegno “Italia
Romanì”, organizzato dall’Associazione 21 luglio, che si è aperto ieri a Roma. L’obiettivo
è di fotografare le condizioni sociali e giuridiche delle comunità rom in Italia.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
La presenza
delle comunità rom in Italia è ancora segnata da gravi forme di discriminazione. Carlo
Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio:
R. – Oggi in Italia abbiamo
una presenza stimata intorno ai 170, 180 mila rom e sinti, pari allo 0,23 per cento
della popolazione totale. Quindi il numero è estremamente esiguo. La maggioranza di
essi, circa tre quarti, vive in civili abitazioni, svolge un regolare lavoro e potremmo
dire che si è mimetizzata tra la popolazione non rom. Il problema riguarda i circa
35 mila tra rom e sinti, che invece vivono nei cosiddetti campi nomadi, luoghi creati
dalle istituzioni a partire da 20 anni a questa parte, luoghi che vanno superati,
in quanto definiti ghetti etnici, luoghi in cui si è istituzionalizzata la segregazione
e la discriminazione.
D. – Quali, in particolare, i limiti e le prospettive
della strategia nazionale di inclusione dei rom?
R. – La strategia nazionale
stenta a decollare. E’ una strategia che parte con obiettivi molto ambiziosi: superamento
dei campi, fine degli sgomberi forzati, riconoscimento della minoranza, soluzioni
agli apolidi di fatto, e quindi ha lo scopo di dare uno stato giuridico a loro. Di
fatto, a due anni dall’applicazione della strategia, siamo ancora molto indietro.
Basti pensare che, per esempio, nella città di Roma si facevano, si operavano e si
operano sgomberi forzati; nella stessa città il Comune continua ad investire ingenti
risorse per la gestione e la costruzione di nuovi campi.
Il popolo rom – sottolinea
mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della
Conferenza episcopale italiana - rischia di subire anche gli effetti della crisi:
R.
– La necessità è che la crisi non faccia abbassare la tutela dei diritti delle persone
e al tempo stesso che la città non venga ripensata semplicemente sugli spazi commerciali,
ma venga ripensata a partire dalle persone, da ogni persona. In questo modo, la periferia
ritorna ad essere centrale.
D. – E non è solo sufficiente identificare le emergenze,
più profonde nelle periferie. Solo l’incontro, quello autentico, aiuta a costruire
realmente relazioni che vincono la paura e la diffidenza …
R. – Noi abbiamo
bisogno, oggi, di fare in modo che anche le periferie, ma soprattutto le città, diventino
luogo d’incontro, di dialogo, di relazioni perché soltanto così si vince il pregiudizio.
Oggi, otto italiani su dieci non vorrebbero come vicino di casa un rom, e questo è
un pregiudizio grosso. In realtà, questo popolo esprime soprattutto il desiderio di
essere rappresentato, di vivere dentro la città e di avere le pari opportunità e gli
stessi percorsi di accompagnamento, una vita buona per sé e per i propri figli, che
spesso sono numerosi.
E i più piccoli vivono, spesso, situazioni di gravi disagio.
Dal rapporto diffuso oggi dal’Unicef emerge, in particolare, che molti bambini e bambine
rom devono affrontare povertà estrema, esclusione sociale e discriminazione.