Quando muore un Santo. Il card. Sandri ricorda Karol Wojtyla
Il 2 aprile di 9 anni fa, Giovanni Paolo II tornava alla Casa del Padre, dopo una
lunga malattia affrontata con indomito coraggio e generosità. Ad annunciare la morte
di Karol Wojtyla in una Piazza San Pietro trasformatasi in un Cenacolo a cielo aperto,
fu il sostituto alla Segreteria di Stato, Leonardo Sandri che oggi, cardinale
prefetto del dicastero per le Chiese Orientali, ricorda – al microfono di Alessandro
Gisotti - l’emozione di quel momento:
(Annuncio della
morte di Giovanni Paolo II) “Carissimi fratelli e sorelle, alle 21.37 il nostro
amatissimo Santo Padre Giovanni Paolo II è tornato alla casa del Padre. Preghiamo
per lui”.
R. – L’emozione è stata grande, e adesso, alla luce di questa
prossima Canonizzazione, avere annunciato proprio questo passaggio dalla terra alla
Casa del Padre di un Santo, è per me ancora una doppia emozione: mi sento come indegno
e lontano dal poter essere stato strumento, in quel momento, di uno che era stato
proprio un evangelizzatore, un uomo di pace, un uomo di grande vita interiore come
base di tutta la sua attività; di una persona che ha vissuto con grande austerità,
con grande povertà tutto il suo ministero.
D. – Lei che ricordi ha dei suoi
incontri con Giovanni Paolo II?
R. – Ho tanti, tanti ricordi. Soprattutto vedere
Dio come ha dotato Karol Wojtyla di una ricchissima umanità. Tutta questa santità
che noi poi abbiamo visto durante la sua vita sacerdotale, episcopale e pontificale
era poggiata in una persona umana che aveva avuto tante sofferenze: la persecuzione,
la morte della mamma quando era piccolo, l’ostruzionismo da parte del regime, il fatto
di dover vivere in un ambiente ostile … tutto questo era vissuto da una persona straordinaria
per simpatia, per presenza fisica, culturalmente molto profondo e ricco per gli studi
che aveva fatto, anche della filosofia e in particolare della fenomenologia … E poi,
per la grande, grande conoscenza che aveva delle persone, la capacità di mettersi
in contatto con loro, la conoscenza delle lingue, la conoscenza del mondo che lui
aveva vissuto anche quando era stato vescovo in Polonia … E quindi, questa umanità
è stata elevata da Dio, attraverso una vita di duri confronti, attraverso una vita
di sofferenze, di sacrificio, una vita anche di austerità perché ecco, una cosa che
io ho potuto ammirare anche nell’ultimo giorno della sua vita, quando stava lì, nel
letto di morte, era lo spoglio totale della persona, anche dal punto di vista materiale:
non c’era nessun lusso che lo circondasse. Questa umanità è stata coronata da Dio
con i doni dello Spirito Santo e quindi con tutto quello - a partire dalla fede, la
speranza e la carità - che fanno di un essere umano comune, come tutti, un Santo.
D.
– Tutti ricordiamo che l’8 aprile, al funerale di Giovanni Paolo II, il Popolo di
Dio lo chiamò già Santo. Cosa i fedeli hanno in più, adesso che il 27 aprile Karol
Wojtyla viene proclamato Santo?
R. – C’è il giudizio autorevole della Chiesa.
Noi dobbiamo pensare che nella formula della Canonizzazione c’è come una specie di
solennità quasi dogmatica di definizione: lui sta nel Cielo, e quindi noi fedeli che
crediamo che lui era Santo fin da quando lo abbiamo conosciuto, oppure quelli che
lo hanno proclamato “Santo subito” in Piazza San Pietro, adesso hanno la certezza
dell’autorità della Chiesa che è l’autorità del Successore di Pietro che dice effettivamente:
“Proclamo, definisco, annuncio che questo uomo è un Santo e sta quindi accanto a Dio”
e vive già della visione di quello che noi tante volte vediamo soltanto attraverso
un’ombra e non lo vediamo, Dio, faccia a faccia: lui già lo vede e questo ce lo garantisce
anche il Supremo Pastore della Chiesa, che è Papa Francesco.