Giornata mondiale dell'autismo: necessario investire di più per diagnosi e cure
Nella giornata di ieri dedicata all’acquisizione di una maggiore consapevolezza dell’autismo,
in tutto il mondo si sono tenuti convegni, eventi musicali e culturali, mentre i principali
monumenti delle città vengono illuminati di blu. All’ospedale “Bambino Gesù” di Roma
un Convegno promosso dalla struttura ospedaliera stessa, dall’associazione Fantasia
in collaborazione con associazioni di genitori, rivolge un appello ai Parlamentari
italiani per sollecitare interventi normativi specifici su questa patologia. Ma qual
è oggi la situazione sul fronte della cura in Italia? Mara Miceli lo ha chiesto
al prof. Giovanni Valeri, neuropsichiatra infantile del Bambino Gesù:
R. – Nell’autismo
vi è un disturbo dell’organizzazione cerebrale e se noi sappiamo, come sappiamo, che
la plasticità cerebrale è massima nei primi cinque o sei anni di vita, perdere del
tempo in quel periodo è qualcosa che non possiamo proprio permetterci. Considerate
che, attualmente, noi sappiamo che si possono fare diagnosi attendibili già tra i
due e i tre anni, anzi, è doveroso fare diagnosi attendibili. Se voi pensate che ancora
adesso in Italia, ma questo vale anche purtroppo per l’Europa e gli Stati Uniti, la
diagnosi media è intorno ai quattro o cinque anni, noi perdiamo tre anni che, come
ho detto, sono preziosissimi. Perché? Perché c’è un ritardo nella diagnosi precoce.
Ma anche ammettendo che i genitori abbiano trovato un pediatra sensibile, siano stati
inviati ad un centro di neuropsichiatria che ha aggiornato la diagnosi, il neuropsichiatra,
l’equipe, dà delle indicazioni di trattamento che sono quelle che tutta la comunità
scientifica ritiene scientificamente fondate ed efficaci, quelle che sono state riassunte
benissimo nella Linea guida che l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato nel 2011.
A questo punto cosa succede? Vanno nelle Asl e le Asl gli dicono: “Ma noi non abbiamo
le risorse per fare questo”. Io vorrei fare un esempio. E’ come se avessi un figlio
cui viene diagnosticato un tumore; sapendo che deve fare la chemioterapia, vado in
ospedale o nelle Asl e mi dicono: “Guarda, purtroppo non ho i farmaci chemioterapici,
però ho la tachipirina e ho un antibiotico”. Questa è la disperazione dei genitori.
D.
– In questa situazione davvero drammatica, cosa fanno i genitori?
R. – Cercano
privatamente. Io ho dei genitori che hanno dovuto fare il mutuo. L’altro ieri ho visto
un genitore che mi ha detto: “Dottore, io guadagno 1500 euro al mese e ne spendo mille
per la terapia privata di mio figlio. Come faccio?”. Questa è la realtà italiana.
Abbiamo un’ottima Linea guida e abbiamo i servizi sanitari e anche educativi – la
scuola potrebbe giocare pure un ruolo importante – che continuano a sprecare risorse,
che potrebbero essere impiegate in modo diverso.
D. – In termini medici, lei
crede che a breve sarà possibile sconfiggere l’autismo?
R. – Sicuramente la
cura dell’autismo sarà una cura in cui la componente medica e biologica sarà fondamentale.
Io non credo però che sarà mai esclusiva. Credo, cioè, che proprio perché l’autismo
è un disturbo che coinvolge l’interazione sociale e la comunicazione, la capacità
di immaginazione, il ruolo anche degli interventi terapeutici psicosociali insieme
ad interventi di tipo medico, farmacologico, giocheranno sempre un ruolo importante.
L’autismo è proprio una patologia dell’essere umano, non c’è nessun farmaco che da
solo, secondo me, potrà mai curare quello che forse è più profondo nell’essere umano
come l’interazione sociale reciproca e la complessità della comunicazione.