Incontro Caritas. Mons. Soddu: per alcuni solidarietà è parola logora, per noi è dare
speranza
È in programma fino a giovedì prossimo in Sardegna – a Quartu Sant’Elena, nella diocesi
di Cagliari – il 37.mo Convegno nazionale delle Caritas diocesane sul tema "Con il
Vangelo nelle periferie esistenziali”, al quale prendono parte settecento delegati
giunti da tutta Italia. Al microfono di Fabio Colagrande, il direttore di Caritas
italiana, mons. Francesco Soddu, si sofferma sul Rapporto presentato in questi
giorni, intitolato “False partenze”, che offre uno spaccato della povertà italiana:
R. – Dopo aver
sentito le parole veramente toccanti di Papa Francesco, non vi è altro sentimento
che mettersi sul solco del suo magistero e sentirsi veramente molto incoraggiati.
All’interno di questo sentimento che è filiale, e tutti gli operatori di Caritas nei
confronti di Papa Francesco sentono vivo, non possiamo non richiamarci a quello che
è il titolo eloquente del Rapporto “False partenze”. Molte persone, puntando sull’emancipazione,
hanno accettato di rimettersi in gioco, impegnandosi in attività lavorative purtroppo
non adeguate rispetto alle loro capacità, sopportando situazioni di evidente sfruttamento,
sotto-retribuite, e condizioni di lavoro al limite del degrado e via dicendo. “False
partenze”, dunque. Però, all’interno di quanto ci dice il Papa, per quanto riguarda
il lavoro di apostolato proprio della Caritas, all’interno della Chiesa, tutto questo
dev’essere visto con un’altra luce: la luce della speranza.
D. – Dal Rapporto,
però, emerge anche la forte debolezza della risposta istituzionale alle povertà…
R.
– Esatto. Questa è una denuncia che noi lanciamo, però non ci possiamo nascondere
dietro alla denuncia. È evidente quello che la Chiesa può fare e che ogni persona
può fare, a iniziare, però, da un richiamo anche alle istituzioni. I soliti a pagare
sono sempre le povere persone e noi vogliamo essere un messaggio di speranza, facendoci
prossimi, andando verso la persona che ha bisogno di aiuto.
D. – In una interessante
nota del vostro Rapporto, ci si chiede anche se i Paesi deboli abbiano solo risentito
della crisi o in qualche modo tradiscano un humus culturale portato alla speculazione,
all’avidità che favorisce quindi la crisi: questa è una riflessione pastorale molto
interessante …
R. – Molto interessante. Dobbiamo veramente renderci conto che
la carità, più che dar qualcosa – e questo è evidentissimo nei passaggi della “Evangelii
Gaudium” di Papa Francesco – piuttosto richiede una condivisione con il più povero
e naturalmente questo richiede un cambiamento di rotta anche per quanto riguarda la
distribuzione dei beni, così come Papa Francesco dice al numero 188 della Evangelii
Gaudium, parlando della solidarietà: un termine che si è logorato…
D. –
E’ vero che nonostante anche l’aumento dei volontari, le vostre Caritas diocesane
sono in difficoltà per l’aumento delle povertà?
R. – Sì, purtroppo, perché
come dicevamo poco fa, le istituzioni hanno pressoché demandato questo impegno a organismi
come la Caritas e la Caritas gioca in questo campo: pensiamo semplicemente alle mense,
ai pacchi a casa, al vestiario, all’accoglienza… Ecco, tutto questo ci ha fatto registrare
già dallo scorso anno che se siamo davanti a uno scenario di vulnerabilità, dall’altra
parte ci sentiamo anche molto deboli. Il Vangelo in questo caso ci deve sostenere,
comprendendo anche che l’assistenza è una cosa buona. Non ci si deve nascondere dietro
all’assistenzialismo che abbrutisce le nostre azioni. L’assistenza è buona: l’importante
è che con l’assistenza, la persona venga messa al centro e contestualmente venga anche
messo in atto un processo perché le persone si possano liberare da questo stato di
miseria che è, come il Papa dice nel messaggio per la Quaresima, diventa miseria quando
è priva della speranza.