Pakistan: Bhatti, dal dialogo soluzioni per i casi di Asia Bibi e Sawan Masih
In Pakistan si è riacceso il dibattito sulla legge che punisce con la pena capitale
gli insulti all’Islam, dopo la condanna a morte per accuse di blasfemia comminata
giovedì scorso da un tribunale di Lahore a Sawan Masih, cittadino cristiano che, proprio
come Asia Bibi, è stato colpito da accuse infondate e strumentali. I cristiani pachistani
venerdì scorso hanno osservato una giornata di digiuno e preghiera per i due fedeli
che ora attendono in carcere il processo d’appello. Ma sulle iniziative che intende
portare avanti la comunità cristiana, sentiamo Paul Bhatti, presidente dell’Alleanza
di tutte le minoranze del Pakistan, intervistato da Marco Guerra:
R. - Ho già
organizzato un gruppo di avvocati che darà assistenza in questi casi. Ho aperto anche
un dialogo con l’Imam e con altri esponenti religiosi con cui stiamo costituendo un
Consiglio, cosicché il caso prima di passare attraverso la polizia, o venire registrato
dalle autorità,vengavalutato dal Consiglio. In tantissimi casi ormai
sono prevenuti e per questo motivo abbiamo cercato di capire cosa si potrebbe fare.
Una cosa su cui stiamo ragionando è il modo in cui trattare questi casi: quando una
persona viene accusata ci dovrebbe essere una delegazione, un gruppo che si riunisce
subito e “contratta”, dialoga con gli Imam o direttamente con le persone che accusano,
in modo da raggiungere una soluzione. Tante volte ci si riesce, anche noi ci siamo
riusciti in molti casi attraverso l’aiuto dei nostri fratelli musulmani. L’altro giorno,
il 25 marzo, alla presenza di tantissima gente, vescovi, ambasciatori, Imam chiamati
ad Islamabad, ho chiaramente detto che nessuno di noi vuole insultare la loro religione,
né tantomeno il Profeta; però, non vogliamo che accuse false producano vittime innocenti.
Questa è la nostra prima preoccupazione.
D. - Che reazione c’è dall’altra parte:
le autorità politiche e religiose del Pakistan sono pronte a rivedere questa legge
e ad applicarla in maniera diversa?
R. - Non è questione di rivedere la legge.
La prima cosa è analizzare i casi di coloro che vengono accusati falsamente, perché
parlare subito di cambiamenti e di rivedere la legge crea molte resistenze. Noi, prima
di tutto, vogliamo convincere che non è nostra intenzione insultare nessuno e che
li rispettiamo. Questo è ciò che esprimiamo con sincerità. Allo stesso tempo vogliamo
che - anche se questa legge permane - non ci siano più vittime innocenti. Però, sta
succedendo proprio questo. Tante volte si strumentalizza la situazione ed è questo
che ci preoccupa: in molti casi le persone sono innocenti, alcune volte vengono condannate
in primo grado e poi assolte in secondo grado. Quando però i casi vengono risolti,
i giudici vengono uccisi, o terrorizzati. Noi vogliamo risolvere questo problema attraverso
il dialogo con i vari gruppi; ho parlato con un Imam che veniva per la prima volta
ad un convegno delle minoranze religiose. È sempre stato lontano, ma ha dichiarato
pubblicamente che se una persona è innocente sarà il primo ad aiutarci e a condannare
se necessario…