2014-03-24 13:24:25

Giornata di preghiera per i missionari martiri: il ricordo di p. Lanciotti e p. Bizimana


Ieri è stata celebrata la 22.ma Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, promossa dal Movimento Giovanile delle Pontificie Opere Missionarie, nell’anniversario dell’uccisione di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador. Il tema è stato “Martyria”, ovvero il richiamo alla dimensione essenziale dell’esperienza di fede: la testimonianza al Vangelo di tanti fratelli e sorelle che hanno dato la loro vita per il suo annuncio nel mondo. Tra loro padre Nazareno Lanciotti, fidei donum, ucciso in Brasile nel 2001 dopo trent’anni di servizio per i più poveri e in prima fila nell’ostacolare i progetti dei mercanti di droga e prostituzione nel Mato Grosso. Sullo spirito che lo ha animato Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza della sorella, Francesca Lanciotti:RealAudioMP3

R. - La viveva con tutto se stesso. Ha assunto la povertà di questa gente, perché diceva che non si può stare in mezzo ai poveri e non sentirsi come loro: ha capito fino in fondo la loro necessità sia materiale che spirituale. Ha costruito una chiesa, però ha pensato anche all’ospedale e alla scuola. Ha coinvolto molto anche la popolazione che sentiva che queste strutture alla fine erano le loro. Ha iniziato anche a fare un seminario e quindi sono venuti fuori dei sacerdoti; adesso, uno di questi è addirittura vice postulatore della causa in Brasile!

D. - Quali erano le cose in cui lui credeva?

R. - La sua formazione era una una formazione benedettina: “Ora et labora”, quindi “prega e lavora”.

D. - Perché è partito? Perché ha scelto questa strada?

R. - Aveva aderito all’operazione Mato Grosso che lavorava per i poveri del Terzo mondo. Lui aveva fatto un’esperienza del genere in Bolivia ed ha capito che c’è era molto bisogno lì di sacerdoti.

D. - 30 anni di lavoro senza sosta. Quali erano le forze che lo portavano avanti in contesti così difficili?

R. - Era devotissimo alla Madonna e allo stesso tempo all’Eucarestia, perché tutti i giorni anche se andava nella foresta, c’era sempre l’Adorazione e poi ha diffuso tantissimo il Rosario. Tutto il resto, lui diceva, era frutto della Divina Provvidenza. La sua vita è stata veramente un miracolo perché prima di tutto aveva Gesù e la Madonna sempre nel cuore e li portava agli altri. Amava quelle persone come amava la sua famiglia!

D. - Quindi come diceva, una vita per i poveri …

R. - Per i poveri sì, ma anche con molta devozione, molta religiosità. Infatti, lui è stato ucciso perché la gente era ben formata sulla strada della fede: pregavano, frequentavano tantissimo la chiesa e non entrava né droga, né prostituzione. Quindi erano talmente forti nella fede, ma anche a livello morale, che i malviventi avevano capito che tutto questo dipendeva dal sacerdote e così hanno programmato un attentato. La persona, il killer incappucciato che gli si è avvicinato, gli ha detto: “Io sono il demonio e tu ci dai troppo fastidio. Sono venuto per ucciderti”.

D. - Padre Nazareno ha anche perdonato la persona che lo ha ucciso …

R. - Sì. Ha pregato per i suoi attentatori, li ha perdonati. Ha avuto il tempo, era lucido, di offrire la sua vita per il Papa, per la Chiesa, per i sacerdoti.

D. - Le dico una cosa che ha detto il Papa sui martiri missionari: “Sono cristiani impegnati ad amare sino alla fine per Cristo”….che ne pensa?

R. - È così, fino alla fine. E lui ha ricevuto minacce - se lo aspettava - e tra l’altro era responsabile, per il Brasile, del Movimento sacerdotale mariano e diciamo che la consacrazione per quei sacerdoti è quella di offrire anche il sangue se necessario, quindi era disposto a tutto.

D. - Che cosa, con la sua vita, con la sua testimonianza, con il suo impegno, suo fratello le ha insegnato?

R. - Che bisogna essere testimoni giorno dopo giorno; non abbandonare mai questo senso di responsabilità che abbiamo verso gli altri. Non dobbiamo essere “cristiani di immagine”, ma cristiani concreti, perché altrimenti allontaniamo le persone.

Testimone di Cristo in una terra devastata dalla violenza, come era il Rwanda nei mesi del genocidio del 1994, è stato padre Fabien Bizimana, assistente generale dei Barnabiti. In quei massacri morirono anche 3 vescovi e una decina di sacerdoti: lo stesso padre Fabien fu vittima di un assalto armato. Gabriella Ceraso ha raccolto la sua testimonianza:RealAudioMP3

R. – Riconosco che, seppure, sia stato veramente drammatico quell’evento, è stato però anche un momento molto cruciale della testimonianza. I cristiani sono stati messi alla prova ed è stata un’occasione per dimostrare che il Vangelo non è una favola, ma è una realtà, è una vita.

D. – Testimoniare, in queste circostanze, che cosa significa? Proteggere, amare...

R. – Per me vuol dire rendere il Vangelo una realtà e il riassunto del Vangelo è l’amore; dare quindi prova dell’amore e della speranza che è dentro di noi.

D. – Lei ha visto, è stato testimone, di religiosi che hanno perso la vita...

R. – Nel 1994 mi trovavo proprio presso la nostra casa di formazione a Cyangugu, in Rwanda, e abbiamo visto con i nostri stessi occhi sacerdoti trucidati, e non solo sacerdoti, ma pure gente che veniva affogata nel lago Kivu, lì vicino. Noi ci siamo salvati, perché eravamo congolesi, solo per questo, altrimenti ci avrebbero ammazzati tutti.

D. – E che cosa si fa per aiutare la gente, quando c’è tanto odio, oppure come in altre zone del mondo, c’è tanta malavita e ci sono comunque tante violenze legate ad altri traffici?

R. – Il missionario, se accetta che la sua vita diventi un’offerta, non ha bisogno di molti discorsi per far capire che è dalla loro parte. Si rende credibile con i suoi fatti, con la sua vita quotidiana. Dopo di che il suo discorso diventa trasparente, diventa realtà. Secondo me, molti sacerdoti si sono salvati anche perché i loro parrocchiani o i loro fedeli credevano in loro veramente, vivendo quanto predicavano.

D. – Allargando l’immagine dal Rwanda, tutta l’Africa è un crogiolo purtroppo di tante violenze in cui i martiri abbondano. Cosa può dire in una giornata che li ricorda tutti?

R. – L’Africa si salverà solo tornando ai valori che hanno fatto sì che i nostri antenati, i nostri genitori vivessero quanto hanno sempre messo in evidenza, cioè la solidarietà. Ricorderei qui uno dei martiri del Congo, mons. Musiro, che diceva: “Non è colpa di nessuno se nasce tutsi anziché nascere hutu oppure di un’altra etnia”. Siamo tutti fratelli. Quando capiremo che, veramente, solo questa fratellanza universale, solo la solidarietà può ancora dare all’Africa un’era nuova di sviluppo?

D. – E può testimoniare quello che il Papa dice, cioè che i martiri sono discepoli di Cristo, che hanno imparato il significato della parola “amare” sino alla fine?

R. – Io stesso sono stato vittima di un assalto di persone armate nella nostra parrocchia. Eravamo solo io con il mio confratello, ma in quella notte, mentre ero picchiato a sangue, tre persone hanno perso la vita fra quelli che venivano in nostro soccorso, in nostro aiuto; e lì ho visto con i miei stessi occhi come uno può arrivare a spendere, a dare la propria vita per un fratello.

D. – Il cristiano è proprio colui che ama sino alla fine ...

R. – Sì, è proprio questa la definizione del cristiano. Il Vangelo si riassume proprio con la parola “amore”.

Ultimo aggiornamento: 25 marzo







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