2014-03-23 07:50:54

Musica e integrazione: primo disco di un gruppo musicale formato da rifugiati


Si chiama “Kermesse” ed è un gruppo musicale composto da rifugiati che vivono in Italia. Grazie a un laboratorio musicale promosso dall’associazione “Prime Italia” hanno realizzato, dopo un anno e mezzo di lavoro, il loro primo disco, esempio di integrazione tra culture diverse. Il servizio di Davide Maggiore:RealAudioMP3

Una sinfonia di suoni e nazionalità asiatiche, africane e sudamericane. Così definisce il risultato del progetto Guglielmo Micucci, presidente di “Prime Italia”, che racconta ai nostri microfoni i primi passi dell’iniziativa, nata dal contatto diretto con i rifugiati:

“Ci siamo resi conto come molti di loro portassero dai loro Paesi delle competenze anche musicali: chi aveva usato degli strumenti, chi aveva cantato e chi aveva anche semplicemente il desiderio di poter esprimere le proprie emozioni, i propri sentimenti attraverso la musica. Abbiamo iniziato gradualmente a creare un gruppo di persone, che ha poi costituito un laboratorio. All’interno di incontri periodici, ha realizzato questo cd, che ha preso il nome di “Kermesse” - da dove poi nasce anche il nome del gruppo stesso”.

La scelta della musica come mezzo d’integrazione ha anche un significato dal punto di vista ideale e culturale, prosegue Micucci:

“Questo strumento ci permetteva di entrare più facilmente in contatto con queste persone e soprattutto - e questa è un po’ la peculiarità di questo lavoro - ci permetteva anche di mostrare a queste persone quali fossero le nostre origini musicali: quindi un rapporto paritario, per mettere insieme - veramente in una grande kermesse - tradizioni di tutti i Paesi, inclusa l’Italia”.

Le canzoni che compongono il cd "Kermesse", e che il gruppo sta iniziando a eseguire anche dal vivo, hanno le loro radici nella storia stessa dei rifugiati, nel viaggio che li ha portati ad abbandonare le terre d’origine e nella loro nuova quotidianità, raccontata agli operatori di “Prime Italia” e poi trasformata in suoni ed armonie grazie anche alla collaborazione del musicista italiano Antonio Bevacqua. A spiegarlo è ancora Guglielmo Micucci:

“I testi di queste canzoni parlano della loro storia, della loro migrazione - purtroppo, a volte, forzata - delle cose che hanno lasciato nei loro Paesi di origine e delle speranze che loro hanno: la speranza del futuro, di quello che loro vorrebbero e potrebbero realizzare”.

In qualche caso, il lavoro nel laboratorio musicale ha portato alla scoperta di nuove abilità e talenti personali. È accaduto ad Abdoulaye, che in Costa d’Avorio lavorava da giornalista, ed era stato chiamato a scrivere alcuni testi del disco:

“Io non ho mai cantato, ma la storia che io volevo raccontare, che ho scritto, la volevo raccontare in maniera un po’ più personale: quindi mi hanno detto 'Vai, prova a prendere il microfono… Prova a cantare e vediamo che faremo…'. Così ho preso il microfono e ho cantato. Hanno trovato che la voce era bella: è così che ho iniziato a cantare”.

Ed è ancora Abdoulaye a spiegare quale messaggio ha voluto trasmettere in questo modo, attraverso le sue parole e la sua voce:

“Alla fine noi dobbiamo sempre lavorare, sempre andare avanti, perché stiamo vivendo un momento difficile. Dobbiamo avere coraggio, perché il futuro può essere interessante. Questo è quello che io racconto in questa canzone”.







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