2014-03-22 15:36:20

Raid israeliano nel campo profughi di Jenin, uccisi 4 palestinesi


Escalation di violenza in Medio Oriente. Altri 4 palestinesi sono stati uccisi in un raid dell'esercito israeliano nel campo profughi di Jenin in Cisgiordania. Le autorità dello Stato ebraico parlano di un’operazione necessaria per sventare un attentato, di tutt’altro avviso il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas: da lui la condanna di quanto accaduto e un appello agli Stati Uniti affinchè fermino le attività militari di Israele che minano gli sforzi di pace condotti da Washington. Cecilia Seppia ha sentito Bernard Selwan Elkourì, esperto dell’area della rivista di geopolitica Limes:RealAudioMP3

R. - Quello che è importante innanzitutto, è chiarire le modalità di questa operazione che le Idf - le Forze di difesa israeliane - hanno definito un’operazione anti terrorismo. In realtà, è stata un’operazione militare di scurezza per eccellenza e l’obbiettivo era non tanto politico quanto militare. Si tratta infatti di Abu Hamza Alhija, un giovanissimo leader delle Brigate al Qassam che sono il braccio militare di Hamas. Non soltanto era ricercato da anni dalle forze israeliane, ma anche dalla forze della Anp, l’Autorità nazionale palestinese. Lui è il figlio di un altro leader di Hamas che è in carcere da 11 anni ed è stato condannato appunto all’ergastolo.

D. - Oggi è il decimo anniversario della morte del leader spirituale di Hamas, Ahmed Yassin, ucciso da un drone israeliano. Ci sono celebrazioni in atto e si rischia che diventino pretesto per nuove tensioni …

R. - Assolutamente sì. Ecco, se volessimo individuare un tratto peculiare di questa operazione israeliana è proprio la data in cui si è scelto di sferrare questo attacco. Questa ricorrenza, unita a questo omicidio, a questo crimine, così come è stato definito dai palestinesi, con altissime probabilità farà innalzare le tensioni che già sono alte in tutta l’area. Quindi bisogna aspettarsi che da oggi, nei prossimi giorni, ci sia una nuova ondata di violenze.

D. - Dalla ripresa dei colloqui tra le parti, nel luglio scorso, sono stati uccisi tra l’altro 57 palestinesi e feriti quasi 900. Quindi tutto ciò potrebbe far crollare gli sforzi di pace che vedono Washington in prima linea …

R. - I negoziati che sono guidati appunto degli Stati Uniti, non si possono fermare da un punto di vista formale e simbolico per quello che riguarda la causa palestinese agli occhi di tutti gli arabi; ma gli osservatori, anche i meno attenti alle questioni mediorientali, si rendono conto che oggi tra tutte le questioni degli arabi, quella palestinese è quella che, detta in parole molto dirette, importa meno alla Comunità internazionale e ai Paesi regionali. Parliamo di un contesto radicalmente cambiato negli ultimi tre anni; un contesto in cui le alleanze sono cambiate e in cui Hamas, da parte sua, non può più contare su un forte sostegno da parte di alcuni alleati regionali; parliamo di un contesto in cui da parte sua, Israele si vede circondato da ulteriori minacce, in primis quello che sta accadendo in Siria e soprattutto dall’attivismo jihadista che ha ripreso vigore negli ultimi anni nel Sinai.

D. - Ecco, sul fronte umanitario c’è un’altra area che preoccupa: quella della Striscia di Gaza. Ieri, centinaia di donne si sono mobilitate per protestare contro la chiusura dei valichi di frontiera, in particolare quello di Rafah con l’Egitto. In queste zone si deve parlare di emergenza …

R. - Si dovrebbe parlare di emergenza, ma come ho detto prima, l’attenzione della comunità internazionale, delle ong e delle organizzazioni internazionali che si occupano di aiuti umanitari, ad oggi è focalizzata su quello che sta accadendo in Siria. Ulteriori elementi che non gioca a favore delle crisi umanitarie nella Striscia di Gaza sono i cambiamenti politici e strategici in quell’area soprattutto al confine tra la Striscia di Gaza e il territorio egiziano. È ovvio che la caduta della Fratellanza Musulmana, notoriamente vicina ai palestinesi della Striscia di Gaza e in particolare ad Hamas, ha contribuito a peggiorare quella che è la crisi umanitaria dei palestinesi che vivono in quell’area.







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