2014-03-21 14:27:39

Giornata della Sindrome di Down: esistere con i malati, non solo assistere


Si è celebrata questo venerdì la Giornata mondiale della Sindrome di Down. Il tema di quest’anno è il "benessere", che per le persone che vivono questa diversità significa inserimento nella scuola, nel lavoro e nella società. Lo scopo della Giornata è far conoscere questa condizione e promuovere l’integrazione di chi è affetto dalla malattia. Il prof. Giuseppe Zampino, responsabile del Centro malattie rare e difetti congeniti del Dipartimento della tutela della salute della donna e del bambino del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, ne parla al microfono di Eliana Astorri:RealAudioMP3

R. – La Sindrome di Down è una condizione che è caratterizzata da una serie di aspetti chimici, che trovano la loro origine nel fatto che ci siano tre cromosomi 21 in più nella maggior parte dei casi. La scienza poi ha definito che in realtà più che di tre cromosomi 21 in più, c’è bisogno solamente di un raddoppio di un piccolo segmento critico, il braccio lungo del cromosoma 21, in una parte che noi chiamiamo 21.1 e 22.3. Basta quel piccolo segmento di cromosoma 21, duplicato, per avere la trisomia 21. Per cui dal punto di vista tecnico certamente è una sindrome, cioè un insieme di segni caratterizzati dal fatto di avere un particolare aspetto, una difficoltà a crescere, un ritardo nell’apprendimento, e questo insieme di segni trova un’origine biologica in questo raddoppio di segmento critico e trisomia 21 nella maggior parte dei casi. In realtà, poi, la definiamo condizione, perché è un modo di essere e, quindi, parlando del modo di essere, arriviamo a un progetto assistenziale, quello che noi medici facciamo nei confronti del bambino e della famiglia. Ma un cammino esistenziale, da assistenziale ad esistenziale, cioè una condivisione di tutto quello che è il progetto di vita, che parte ovviamente da un momento fondamentale, la comunicazione della diagnosi, ovvero il momento più critico che i genitori si trovano ad affrontare.

D. – "Coordown Onlus", che riunisce le associazioni italiane delle persone con Sindrome di Down, ha lanciato una campagna internazionale che si chiama “Dear future moms” su Youtube, che ha raggiunto mezzo milione di visualizzazioni, sul diritto alla felicità e al benessere di queste persone. E l’idea di questa campagna è nata da una e-mail che una mamma ha scritto appunto al Coordown, in cui chiedeva: “Che tipo di vita potrà avere mio figlio?” In questa domanda c’è la preoccupazione, la paura di tutte le donne che aspettano un figlio, che nascerà in questo modo...

R. – Questo è considerato un momento estremamente delicato e importante in tutto il processo di accettazione della malattia e della condizione in generale. Una famiglia, infatti, specie se non ha fatto diagnosi prenatale, sta immaginando un figlio perfetto e poi, a un certo punto, si trova un figlio che ha un problema. Il meccanismo consiste nel fatto che devi accettare e rivalutare tutte quelle che sono le tue idee e i tuoi sogni e riadattarle a quella che è la realtà. In questo momento la comunicazione diventa importante, perché ti permette di accettare in tempi più brevi e con più efficacia la situazione, se la comunicazione è fatta adeguatamente.

D. – Un bambino con Sindrome di Down un domani potrà però lavorare, andare a scuola. Noi sappiamo dell’esperienza del "Ristorante dei Girasoli" qui a Roma, dove lavorano ragazzi affetti da questa malattia. In questa Giornata mondiale dedicata alle persone che vivono tale condizione, quindi, qual è il messaggio che lei può mandare?

R. – Il messaggio che posso mandare è che c’è possibilità di avere autonomia e quindi c’è la possibilità da parte di ragazzi con la Sindrome di Down di raggiungere un’autonomia, che ovviamente è variabile da persona a persona. E’ l’impegno, però, che hanno sia le associazioni sia i sistemi di riabilitazione. Questo è un dato di fatto: si stanno creando case-famiglia per accogliere persone con la Sindrome di Down per poter sviluppare al meglio la loro autonomia. Ho tanti anni di esperienza, vedo la storia di tante famiglie, e nella maggior parte delle famiglie che ho incontrato – dopo un primo momento di lutto legato al fatto di un evento inatteso – c’è stata poi una situazione di riorganizzazione e, nella maggior parte di queste famiglie, c’è stata la possibilità di vivere una vita felice anche con una situazione di questo tipo. La felicità, comunque, è un cammino nell’acquisizione delle tappe che man mano ti trovi ad affrontare. Ora, se sei bravissimo, le tappe le fai velocemente e le acquisisci, se sei meno bravo, ma hai una possibilità di avere una strada, quella strada ti permette comunque di avere una tensione verso il domani e quindi di acquisire anche aspetti positivi di felicità.







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