Giornata della Sindrome di Down: esistere con i malati, non solo assistere
Si è celebrata questo venerdì la Giornata mondiale della Sindrome di Down. Il tema
di quest’anno è il "benessere", che per le persone che vivono questa diversità significa
inserimento nella scuola, nel lavoro e nella società. Lo scopo della Giornata è far
conoscere questa condizione e promuovere l’integrazione di chi è affetto dalla malattia.
Il prof. Giuseppe Zampino, responsabile del Centro malattie rare e difetti
congeniti del Dipartimento della tutela della salute della donna e del bambino del
Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, ne parla al microfono di Eliana
Astorri:
R. – La Sindrome
di Down è una condizione che è caratterizzata da una serie di aspetti chimici, che
trovano la loro origine nel fatto che ci siano tre cromosomi 21 in più nella maggior
parte dei casi. La scienza poi ha definito che in realtà più che di tre cromosomi
21 in più, c’è bisogno solamente di un raddoppio di un piccolo segmento critico, il
braccio lungo del cromosoma 21, in una parte che noi chiamiamo 21.1 e 22.3. Basta
quel piccolo segmento di cromosoma 21, duplicato, per avere la trisomia 21. Per cui
dal punto di vista tecnico certamente è una sindrome, cioè un insieme di segni caratterizzati
dal fatto di avere un particolare aspetto, una difficoltà a crescere, un ritardo nell’apprendimento,
e questo insieme di segni trova un’origine biologica in questo raddoppio di segmento
critico e trisomia 21 nella maggior parte dei casi. In realtà, poi, la definiamo condizione,
perché è un modo di essere e, quindi, parlando del modo di essere, arriviamo a un
progetto assistenziale, quello che noi medici facciamo nei confronti del bambino e
della famiglia. Ma un cammino esistenziale, da assistenziale ad esistenziale, cioè
una condivisione di tutto quello che è il progetto di vita, che parte ovviamente da
un momento fondamentale, la comunicazione della diagnosi, ovvero il momento più critico
che i genitori si trovano ad affrontare.
D. – "Coordown Onlus", che riunisce
le associazioni italiane delle persone con Sindrome di Down, ha lanciato una campagna
internazionale che si chiama “Dear future moms” su Youtube, che ha raggiunto mezzo
milione di visualizzazioni, sul diritto alla felicità e al benessere di queste persone.
E l’idea di questa campagna è nata da una e-mail che una mamma ha scritto appunto
al Coordown, in cui chiedeva: “Che tipo di vita potrà avere mio figlio?” In questa
domanda c’è la preoccupazione, la paura di tutte le donne che aspettano un figlio,
che nascerà in questo modo...
R. – Questo è considerato un momento estremamente
delicato e importante in tutto il processo di accettazione della malattia e della
condizione in generale. Una famiglia, infatti, specie se non ha fatto diagnosi prenatale,
sta immaginando un figlio perfetto e poi, a un certo punto, si trova un figlio che
ha un problema. Il meccanismo consiste nel fatto che devi accettare e rivalutare tutte
quelle che sono le tue idee e i tuoi sogni e riadattarle a quella che è la realtà.
In questo momento la comunicazione diventa importante, perché ti permette di accettare
in tempi più brevi e con più efficacia la situazione, se la comunicazione è fatta
adeguatamente.
D. – Un bambino con Sindrome di Down un domani potrà però lavorare,
andare a scuola. Noi sappiamo dell’esperienza del "Ristorante dei Girasoli" qui a
Roma, dove lavorano ragazzi affetti da questa malattia. In questa Giornata mondiale
dedicata alle persone che vivono tale condizione, quindi, qual è il messaggio che
lei può mandare?
R. – Il messaggio che posso mandare è che c’è possibilità
di avere autonomia e quindi c’è la possibilità da parte di ragazzi con la Sindrome
di Down di raggiungere un’autonomia, che ovviamente è variabile da persona a persona.
E’ l’impegno, però, che hanno sia le associazioni sia i sistemi di riabilitazione.
Questo è un dato di fatto: si stanno creando case-famiglia per accogliere persone
con la Sindrome di Down per poter sviluppare al meglio la loro autonomia. Ho tanti
anni di esperienza, vedo la storia di tante famiglie, e nella maggior parte delle
famiglie che ho incontrato – dopo un primo momento di lutto legato al fatto di un
evento inatteso – c’è stata poi una situazione di riorganizzazione e, nella maggior
parte di queste famiglie, c’è stata la possibilità di vivere una vita felice anche
con una situazione di questo tipo. La felicità, comunque, è un cammino nell’acquisizione
delle tappe che man mano ti trovi ad affrontare. Ora, se sei bravissimo, le tappe
le fai velocemente e le acquisisci, se sei meno bravo, ma hai una possibilità di avere
una strada, quella strada ti permette comunque di avere una tensione verso il domani
e quindi di acquisire anche aspetti positivi di felicità.