20 anni fa la camorra uccideva don Peppe Diana: diede la vita 'per amore del suo popolo'
Era il giorno del suo onomastico, il 19 marzo del 1994, quando don Peppe Diana venne
ucciso nella sua parrocchia, la chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe,
nel casertano, dove don Peppino era nato e cresciuto. Fu assassinato da un clan rivale
dei Casalesi, cosca che dominava quella terra, per le sue denunce, per il rischio
che risvegliasse le coscienze, perché sottraeva i giovani alle mani mafiose, e perché
aveva osato rifiutare i funerali in Chiesa di un camorrista morto ammazzato. Ieri
il Paese e la zona tutta hanno ricordato il sacerdote con molte manifestazioni, aperte
dalle Messe delle 7.30, quella che quel mattino di venti anni fa don Diana non riuscì
a celebrare. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Mancavano 10
minuti alla Messa delle 7.30, e don Giuseppe Diana si preparava a celebrarla. I cinque
colpi sparati dal killer entrato in sacrestia misero fine alla sua vita, al suo sacerdozio,
e misero a tacere la sua parola, che mai si era risparmiata nell’impegno contro la
camorra e contro il sistema criminale. Salvatore Cuoci, del comitato don Peppe
Diana, conosceva bene il parroco:
"Quando 20 anni fa decisero di uccidere
don Peppe Diana questi camorristi pensarono di aver ucciso anche la speranza e anche
le nostre coscienze. Pensavano che tutto fosse stato vinto, invece è stata una morte
che oggi comincia a dare anche i suoi frutti. Non è stata una morte vana. In questi
20 anni tanta strada è stata fatta ed oggi credo che questo Paese, questo territorio,
questa città, cominci veramente a risalire sui tetti e ad annunciare parole di vita
e lo vuole fare con convinzione, liberandosi di un passato. Questa è la grande vittoria,
il grande insegnamento ed il grande ricordo che abbiamo ancora di don Peppe Diana".
“La
camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi, tenta
di diventare componente endemica nella società campana”: sono le parole che don Peppino
usò in una lettera distribuita nel Natale del ’91 nelle chiese di Casal di Principe
e dell’aversano, intitolata 'Per amore del mio popolo'. “I camorristi – scriveva –
impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili” e ancora: “la Camorra
riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato
da corruzione, lungaggini e favoritismi”.
"Sono stato uno di coloro che
hanno distribuito questo volantino fuori dalle Chiese. Un documento per l’epoca forte,
in un linguaggio crudo, diretto e leggerlo oggi desta ancora tantissima emozione.
È stato un impegno forte da parte di don Peppe, degli altri sacerdoti della foranìa.
La camorra, che in quel momento era veramente padrona, anche delle nostre vite, delle
nostre coscienze, non lo prese bene. Questo documento ha forse segnato, insieme poi
ad tante altre iniziative fatte nei successivi tre anni, dal ’91 al ’94, la fine di
don Peppe Diana".
Le parole di Giovanni Paolo II all’Angelus del 20 marzo,
il giorno dopo l’assassinio, furono di dolore, di condanna, e di speranza: che il
sacrificio di don Diana non fosse avvenuto invano. Salvatore Cuoci oggi testimonia
che il cammino fatto dai suoi concittadini è stato proprio quello indicato da Papa
Wojtyla di conversione e di pace:
"Possiamo dire con convinzione che un
certo tipo di camorra è finito, almeno quella armata. I capi sono ormai tutti in galera,
condannati all’ergastolo. Ma guai ad abbassare la guardia, perché la nostra battaglia
ora è contro la cultura camorristica, contro l’agire e il pensare ancora 'camorristicamente'.
La gente è stata per troppo tempo abituata a ragionare e a pensare in modo 'camorristico'
e questo significa che quel diritto che puoi avere dalle istituzioni te lo dà il boss:
un posto di lavoro te lo fa avere il boss, una raccomandazione te la fa avere il boss.
C’è quindi questa situazione parallela dove molto più rapidamente, senza passare per
la pubblica amministrazione, per lo stato legale, puoi avere tutto quello che vuoi.
La sua morte per noi è stata dirompente, veramente dirompente, pensavamo che non si
potesse uccidere un sacerdote nella sua Chiesa, ma la camorra ha rotto anche questo
tabù. Noi ci preoccupammo tantissimo, poi però nacque la Scuola di pace di don Peppe
Diana, e poi l’esperienza di tante altre persone si è riunita formando il 'Comitato
don Peppe Diana' che oggi porta avanti quel ricordo, quella memoria fatta soprattutto
di impegno e di liberazione delle nostre terre. Le difficoltà e le minacce sono sempre
dietro l’angolo anche se possiamo dire che un certo tipo di camorra è finita, ormai
la strada è stata intrapresa e non si può più tornare indietro. Guardiamo avanti,
dobbiamo essere sempre di più perché la forza è stare insieme, è poter essere uniti
in un unico percorso e questo il comitato, su questo territorio, anche se con fatica,
lo sta dimostrando e facendo. Le cooperative sociali, nate nel nome di don Peppino,
stanno costruendo sempre di più le terre di don Peppe Diana e noi vorremmo che non
venissero ricordate più come 'terre dei fuochi', 'terre di camorra', o come 'Gomorra'.
Queste sono sempre più le terre di don Peppe Diana che affiorano sul sangue che ha
versato e che danno frutti di cambiamento e conversione, che danno un ‘pacco’ alla
camorra, che danno frutti fondati su radici solide e su di una gioventù che si affaccia
alla vita. Oggi le persone escono dalle loro case, allungano le mani, se le sporcano,
e questo è veramente uno dei grandi frutti che stiamo raccogliendo da quel sangue
versato e che qualcuno voleva farci pensare che fosse finalmente 'affossato'. In
realtà quel sangue è ancora vivo e ci sta offrendo opportunità che noi dobbiamo saper
cogliere".
Il comitato don Peppe Diana è nato ufficialmente nel 2006 a
Casal di Principe con lo scopo di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto
per 'amore del suo popolo'.